Di consueto l’autunno si carica, come
cielo di nuvole dense, di sferzate finanziarie e di presagi di
riforme. In un clima di disinvestimento generale, il governo si è
offerto di aiutare il grande capitale in difficoltà, capitale che si
serve tanto dell’illegalità quanto della legalità per rigenerarsi;
e se i soliti noti posseggono un discreto bottino (le stime parlano
di 300 miliardi di euro), nascosto in qualche paradiso fiscale, il
governo non chiede altro che un misero 5 % di sanatoria per farlo
rientrare (in forma anonima) dentro le mura nazionali, proteggendo in
cambio il “contribuente” dall’accusa di reato di falso in
bilancio e di distruzione di documenti contabili. In questo consiste
il famigerato scudo fiscale, approvato dal Parlamento Italiano. Non vogliamo stupirvi con una falsa
novità: l’evasione fiscale è uno strumento usato correntemente e
spesso generalizzato dal grande capitale, tanto in Italia quanto
all’estero. Il caso degli Stati Uniti è
esemplare: “ … mentre la quota fiscale complessiva pagata
dalla classe lavoratrice aumentava rapidamente negli ultimi decenni,
“una gran parte delle maggiori imprese pagava poche imposte, o non
ne pagava affatto, almeno per un anno fin dalla metà degli anni ‘70
… Quaranta grandi imprese che non pagarono imposte nel 1986 … [e]
almeno sedici grandi imprese, i cui profitti complessivi ammontavano
almeno a 10 md$ nel 1987, non solo non pagarono affatto le imposte,
ma al contrario ricevettero più di 1 md$ di restituzione di imposte
da parte del governo quello stesso anno. In testa a questa lista
c’era la General Motors, con profitti di 2,4 md$ e una restituzione
di 742,2 ml$, e l’Ibm, con profitti di 2,9 md$ e una restituzione
di 123,5 ml$” (Feagin e Feagin 1990, 60-61). .Nicola Simoni,
“Evasione fiscale e classi sociali”, La Contraddizione, n°63,
nov-dic 1997, cit.
Piuttosto vorremmo mettere in luce come
questo provvedimento impopolare sia come la lingua di un serpente:
biforcuto.
Se, infatti, da un lato l’evitare di
sottoporre a tassazione il grande capitale vuol dire sottrarre
risorse al salario sociale (previdenza, assistenza etc), colpendo
direttamente la classe lavoratrice, dall’altro questa infame e
consolidata prassi vuole essere presentata da governo, industriali e
rettori come un’occasione per distribuire risorse in favore
dell’Università. Dietro questa facciata da “grande occasione” si
nascondono i progetti di asservimento dell’Università alle esigenze
del capitale: la Gelmini annuncia infatti di voler varare la nuova
riforma per fine ottobre 2009, grazie alle risorse “guadagnate”
con lo scudo fiscale
(http://rassegnastampa.crui.it/minirass/esr_visualizza.asp?chkIm=2 ):
una riforma già prevista da luglio, che accanto ai tagli consente
alle rappresentanza delle imprese e di enti esterni di ricoprire il
40% dei posti in nel Consiglio di Amministrazione (Cda) degli Atenei.
Ma per compiere questo passo non serviranno i soldi dello scudo.
Questi ultimi verranno spesi per detassare le “donazioni”
concesse dalle imprese ad Università ed Enti di Ricerca, come
richiesto dai giovani industriali di Confindustria
(http://rassegnastampa.crui.it/minirass/esr_visualizza.asp?chkIm=7 ).
Peccato che, al contrario di quanto scrive il giornalista
(stipendiato dal gruppo Mondadori, della famiglia Berlusconi), non si
tratta di donazioni, ma di veri e propri investimenti, che consentono
al capitalista di avere un ritorno in termini di brevetti prodotti
dai ricercatori e dagli studenti universitari ad un costo bassissimo.
Due piccioni con una fava insomma: l’impresa conclude la riforma
della Governance Universitaria, guida una ricerca sostanzialmente
prodotta da strutture pubbliche, finanziata con fondi pubblici e con
capitali privati, il tutto senza pagare una lira di tasse. Una
manna!!! Non parliamo naturalmente di fantascienza, ma di un modello
di Università neo-liberista, che travalica i confini nazionali e
trova la sua ragione nel tentativo tutto europeo di aumentare la
competitività del blocco UE a livello internazionale (in una fase di
crisi), riproducendo in salsa nostrana un sistema formativo simile a
quello nord-americano (vedi Strategia di Lisbona 2000 o Dichiarazione
di Bologna 1999).
Noi a pagare le conseguenze di tutto
questo: come famiglie cui viene sottratta nuovamente una fetta di
salario sociale; come studenti, costretti ad una ferrea selezione di
classe, basata sull’assenza di eguali condizioni di partenza, e
destinati ad assorbire una formazione ideologica e appiattita sui
bisogni del capitale privato; infine, come futuri lavoratori,
disciplinati in partenza alla produttività, alla precarietà ed
all’assenza di diritti.
Vogliamo restare a guardare? NO!!!
CONTRASTIAMO IL PROCESSO DI BOLOGNA E
LA DICHIARAZIONE DI LISBONA!
NO ALLA RIFORMA GELMINI!!
VERSO UN AUTUNNO BOLLENTE!!!