L’ITALIA E LA SCUOLA DI CLASSE!


Negli ultimi giorni l’OCSE, una delle
più importanti organizzazioni sovranazionali del capitalismo, si è
divertita a sfottere l’Italia. Prima ha constatato che le stime di
“crescita”– o di “decrescita”, sarebbe meglio dire, visto
che siamo a -5,3% del PIL – erano da rivedere al ribasso, poi ha
sostenuto che la ripresa arriverà più tardi del previsto, e sarà
comunque debolissima (parliamo del +0,4% nel 2010), poi che la
disoccupazione quest’anno continuerà a salire fino al 10%, con un
debito pubblico fino al 120%… Il tutto corredato da calo dei
consumi, degli investimenti e del commercio estero. Poi, per farsi
due risate, l’OCSE ha aggiunto: “tutte le previsioni sono soggette
a una forte incertezza”. Insomma, può andar peggio. L’incertezza
però non gli impedisce di consigliare la ricetta su misura per noi:
ricapitalizzare le banche, fare riforme strutturali per aumentare la
competitività, un bel giro di vite sulla pubblica amministrazione…

Cos’è che di sta storia fa ridere, se
non facesse piangere? La smania con la quale il centrosinistra ed il
centrodestra rivendicano la loro adesione ai dettami neoliberisti.
Mentre l’opposizione accusa il Governo di non aver fatto le famose
liberalizzazioni, il Governo usa il rapporto per dire: l’emergenza
c’è, quindi bisogna riformare, intervenire, spezzettare. Il caso
della Scuola è eclatante. L’OCSE ha messo gli istituti superiori
italiani in coda alla sua personale classifica. La Gelmini se la
ride: abbiamo ragione! Dobbiamo tagliare il personale. Ridurre le ore
di lezione. Misurare le performance di presidi e docenti. Spingere
sull’autonomia degli istituti scolastici. Chiuderli, persino! E dare
un bel bonus alle famiglie per mandare i figli alle scuole private…

 

Cosa c’entrino queste scelte con il
rapporto è tutto da capire. Persino l’OCSE – il cui obbiettivo,
sia chiaro, è educare i ragazzi alla competizione e al nozionismo,
secondo dispositivi standardizzati che potranno renderli lavoratori
obbedienti e produttivi – dice che le differenze di “performance”
fra gli studenti sono attribuibili a condizioni materiali (come la
regione d’appartenenza ed il reddito familiare). Persino l’OCSE si
propone compassionevolmente di “contenere il gap educativo fra Nord
e Sud […] per ridurre le differenze economiche e sociali
complessive” e di “recuperare le scuole e gli studenti più
deboli, specialmente quelli a rischio abbandono”.

 

Ma non è finita qui. Proprio oggi il
Ministero decide, secondo una pratica inusuale, di anticipare i
numeri dei bocciati (oltre 370.000) e dei non ammessi alla maturità
(oltre 25.000). Con il chiaro intento di orientare gli insegnanti
ancora alle prese con gli scrutini, la Gelmini minaccia il pugno di
ferro e manda a dire che la Scuola deve essere rigorosa. Peccato che
tutti i pedagogisti prendano come paradigma dell’insuccesso
dell’intero sistema proprio la cosiddetta dispersione scolastica:
bocciature, evasioni e abbandoni.

 

Su una cosa però la Gelmini ha
ragione: “questa scuola prepara i ragazzi alla vita”. È vero: è
una scuola che rispecchia perfettamente la società italiana. Una
scuola di classe, dove l’ingresso è deciso dal quartiere di
appartenenza, le amicizie dalla marca dei vestiti, i risultati
garantiti dall’aiutino delle lezioni private. Una scuola che
penalizza il Sud, gli istituti tecnici. Dove il bullismo si svela
come l’arroganza del più ricco e del più forte, oppure lo sfogo
disperato di ragazzi che sentono di non aver nulla da perdere, nulla
da fare, nulla da imparare, perché comunque quella parentesi subita
5 ore al giorno non ti porterà da nessuna parte. Una scuola in cui
la “cattiva condotta” (sulla cui definizione ci sarebbe molto da
dire) non viene compresa nelle sue origini sociali, ma cattolicamente
attribuita, come fosse colpa morale, all’indole del ragazzo.

 

Da parte sua il centrosinista si limita
a constatare che tanti ragazzi che restano negli istituti costano
allo Stato tre miliardi in più. Perché non promuoverli allora,
infischiandosene di cosa vadano mai a fare con un titolo sempre più
squalificato, senza alcuno strumento critico-culturale, in tempi come
questi? Strano che Alfano abbia dichiarato proprio oggi che si stanno
costruendo nuove prigioni…

Ora, le considerazioni sarebbero tante.
La prima intorno al ruolo dell’OCSE e degli organismi sovranazionali
che dettano le politiche mondiali. E questo ci porterebbe
direttamente alla contestazione del G8 dell’Aquila, come il luogo di
gestione e sintesi (per quanto precaria) delle diverse azioni
ultra/neo/iperliberiste. La seconda considerazione verterebbe invece
intorno alla mancanza di rappresentanza politica dei lavoratori,
degli studenti e delle classi sociali più deboli: quale partito o
sindacato decide di opporsi a queste direttive? Quale le contesta
frontalmente? Ecco un invito a sviluppare i sentieri di
autorganizzazione, di contestazione radicale che abbiamo cominciato a
percorrere quest’autunno in modo trasversale, fra
studenti-lavoratori-genitori-insegnanti…

La terza considerazione, e le altre,
preferiamo non farle. Perché lasciamo la parola a chi a Milano,
qualche giorno fa, ha saputo esprimere un sentire diffuso,
contestando e mandando via Gelmini. Sono stati subito chiamati
“talebani” e “fascisti rossi”. Noi speriamo ce ne siamo
molti, di questi “rossi”, per opporsi ai veri fascisti e ai veri
buffoni in ogni scuola e facoltà… In ogni caso, saremo fra quelli!

RED-NET

 

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