I fatti di Rosarno, oltre lo sdegno e la rabbia, ci danno elementi e segnali che è importantissimo raccogliere e valorizzare: la storia di operai e lavoratori sfruttati e poi estromessi dal ciclo produttivo nelle fabbriche del nord che, come lavoratori stagionali, ripopolano le campagne per garantirsi un salario. Sono le stesse contraddizioni che si trovano davanti milioni di lavoratori, oggi in cassaintegrazione, che vedono il loro posto di lavoro a rischio e che vivono sulla loro pelle questa crisi del capitalismo e del suo modo di produzione. In periodi di così forte crisi, non solo economica ma anche politica e culturale, è sintomatico che emergano luoghi comuni che, troppo spesso, sfociano nell’identificazione di falsi nemici. Un meccanismo ben oliato da parte del capitale che inventa categorie per dividere la classe: proprio il capitale ha, infatti, utilizzato l’immigrato per innescare e fomentare la guerra tra poveri utilizzandolo, nello stesso tempo, come esercito di riserva.
In questo clima non c’è da stupirsi se le norme del pacchetto sicurezza aumentano di un terzo la pena del reato se commesso da un clandestino e i CIE vengono considerati indispensabili strumenti di "sicurezza" da tutto il ceto politico. Le stesse istituzioni toscane, che fino a ieri si dichiaravano contrarie all’edificazione di un CIE sul territorio regionale sono ora unite nel progetto di costruzione di uno di questi carceri.
Siamo davanti ad una guerra che governi e padroni combattono fuori dai confini con bombe ed eserciti che si ripercuote internamente sullo stato sociale, sui salari e sui diritti. Una guerra che sradica migliaia di uomini e donne dalla propria terra e dalla propria cultura e che prosegue nel ricatto del rimpatrio o della reclusione nei CPT o nei CIE creando una condizione complessiva di emarginazione e sfruttamento.
Se da una parte è necessario lottare contro il fascismo, che si nutre del razzismo e della paura dell’immigrato come oggetto della propria propaganda politica, dall’altra non possiamo soffermarci unicamente ad una lotta di tipo "umanitario". Non si tratta di rivendicare né un’"utilità" dell’immigrato, "necessario" al capitale in quanto consente maggiori possibilità di sfruttamento, né di un semplice miglioramento delle condizioni di vita, sebbene importanti, ma far si che la lotta per i diritti degli immigrati sia parte integrante della lotta di classe nel nostro paese: un momento in cui l’immigrato finisce di essere considerato tale diventando parte attiva della classe stessa, in quanto lavoratore e lavoratrice, in una condizione di sfruttamento dettata da un bisogno con cui ognuno di noi è costretto ora ed in futuro a fare i conti.
NO ALLO SFRUTTAMENTO DEI LAVORATORI!
NO ALLA GUERRA FRA POVERI!
NO AL REATO DI CLANDESTINITA’!
NO CIE! NO CPT!
Collettivo Politico di Scienze Politiche – Cpa Fi-Sud – Cantiere Sociale K100