SUI FATTI DEL 25 NOV 2010 A NOVOLI


Analisi critica delle dichiarazioni scritte (e non) dei presidi del polo delle Scienze Sociali di Novoli

Queste le dichiarazioni apparse nella zona news del sito di facoltà: www.scpol.unifi.it

Scontri al polo delle Scienze sociali

L’episodio è stato commentato da Francesco Giunta preside della Facoltà di Economia, Paolo Cappellini preside della facoltà di Giurisprudenza e Franca Alacevich preside della facoltà di Scienze politiche.
I presidi esprimono “condanna per il comportamento di gruppi organizzati e studenti che avevano già in precedenza manifestato con toni inaccettabili intolleranza e intenzione di impedire ‘con ogni mezzo necessario’ lo svolgimento dell’iniziativa organizzata dagli Studenti per le Libertà”.

La manifestazione di toni inaccettabili di intolleranza e l’intenzione di impedire con ogni mezzo necessario lo svolgimento dell’iniziativa del PDL è la definizione poetica con cui i presidi definiscono il volantino del Collettivo Politico di Scienze Politiche dal titolo “intolleranza per gli intolleranti”, distribuito nei giorni precedenti l’iniziativa. L’idea di chi protestava era quella di contestare non tanto una iniziativa dei giovani forza italioti in quanto tale, ma una operazione elettoralistica di stampo razzista e fascista. Secondo i presidi in questo modo noi avremmo leso il diritto alla libera espressione di Daniela Santanchè, il suo diritto, cioè, di giustificare la violenza quotidiana, lo sfruttamento, financo lo stordimento da psicofarmaci e l’omicidio perpetrati nei confronti di immigrati inermi, cosa che quotidianamente si sentono in diritto di fare i giornali, specialmente di una certa parte (la sua), ma non solo. Ci chiediamo dunque se la prossima volta avrà diritto di parola Borghezio (Lega Nord), o qualche redivivo Mussolini tipo Gianluca Iannone, presidente di CasaPound, visto l’assoluto silenzio delle autorità nei confronti delle prime e denunciatissime apparizioni della sigla Blocco Studentesco a Novoli.

“Abbiamo cercato un dialogo con gli studenti – continuano i presidi – e abbiamo chiarito che non avremmo potuto tollerare un uso della forza da parte loro per impedire il dibattito”.

Il dialogo è stato cercato a cose fatte, cioè quando la facoltà era già tappezzata di manifestini di Forza Italia con il logo della regione Toscana e dell’Università di Firenze, che solo dopo la pubblicazione dei primi comunicati di contestazione dell’iniziativa ha pensato bene di “lavarsene le mani” (se le lavassero meglio, sono ancora sporche), obbligando i forza italioti a togliere il simbolo dell’Ateneo. La legittimità assegnata all’iniziativa dai presidi trova forza nell’ormai fin troppo vecchio e sovrautilizzato scostamento tra costituzione formale e costituzione materiale. Il preside di Giurisprudenza afferma addirittura in Assemblea che la XII norma finale della Costituzione Italiana vale solo per il secondo dopoguerra, quando si usciva dalla caduta del fascismo. È, dunque , totalmente inattuale credere che possa riaccadere e vigilare che non riaccada. Cosa dire poi dell’articolo 3 o dell’articolo 10 (articoli fondamentali!), che i signori (e le signore) in doppiopetto invitati a parlare nella nostra facoltà violano sistematicamente? Certo, se la Corte Costituzionale non ha ravvisato nella singola (!) legge alcun tratto incostituzionale, nonostante il progetto politico di riduzione all’emarginazione e di ricattamento degli immigrati in Italia sia più che palese, allora i presidi delle nostre facoltà si sentono in diritto di spianare ogni principio di giustizia sociale presente nelle loro coscienze, e di dare a noi dei fascisti, a noi degli intolleranti, a noi degli illegittimi. Certo, siamo sicuri di aver infranto molte leggi, non abbiamo firmato nessuna autorizzazione per il corteo spontaneo, per il presidio, a qualcuno, dopo la decima manganellata, sarà pure scappata una reazione fisica, abbiamo in tutti i modi oltraggiato le forze dell’ordine, opposto resistenza, abbiamo bloccato autobus ed il traffico cittadino in generale, abbiamo occupato un’aula, siamo addirittura entrati nella definizione di terroristi secondo il decreto Pisanu che “rammoderna” l’articolo 270 del codice penale definendo “condotte con finalità di terrorismo” quelle “compiute allo scopo di […] costringere i poteri pubblici o un’organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto” (in questo caso, parliamo della riforma dell’università). Ma siamo convinti di aver protetto, quel giorno, costretti nell’illegalità, i principi di giustizia sociale che ci guidano e che sono posti anche a fondamento di una parte importante della Costituzione Repubblicana.

Siamo consapevoli – prosegue la dichiarazione di  Cappellini,  Alacevich e Giunta – che le forze dell’ordine hanno il compito irrinunciabile di prevenire disordini e garantire che in democrazia una manifestazione autorizzata si possa svolgere e i partecipanti possano esprimere liberamente le loro opinioni”

Gli studi sulla origine del diritto e sulle sue trasformazioni ci consentono di riconoscere nell’ordinamento giuridico di uno Stato non un dogma immutabile, bensì la forma, cristallizzata, dei rapporti di classe in un dato paese. È questa consapevolezza che ci fa evitare qualsiasi sacralizzazione della legalità e della legge, quando è attraverso la legge ( la Turco-Napolitano, la Bossi-Fini o la riforma Gelmini, ad esempio) che si sviluppa il dominio di classe. Non ci stupiamo del comportamento delle forze dell’ordine, poste a tutela del (dis)ordine democratico, di una società, cioè, basata sulla diseguaglianza. Siamo stupiti, piuttosto, di non potere ravvisare alcuna differenza tra il documento dei presidi e le veline di una qualunque questura italiana. Stupiti perché solo qualche giorno prima sembrava che tutte le autorità accademiche fossero sul punto di dare le dimissioni, richiesta emersa dall’Assemblea di Ateneo del 5 novembre, in segno di protesta contro la riforma Gelmini e i tagli. Stupiti perché siamo convinti che sia un dovere degli intellettuali quello di analizzare criticamente la realtà, e non quello di giustificarla. Quando, nel 1887, in seguito alla sconfitta conseguita dall’esercito italiano a Dogali, il governo Depretis ordinò la chiusura per lutto nazionale degli Atenei italiani, il rettore della Federico II di Napoli, Salvatore Trinchese, si oppose, evitando di eseguire l’ordinanza governativa. Egli, giustamente, considerava l’occupazione italiana dell’Abissinia una occupazione imperialista e la reazione degli autoctoni un atto di resistenza, pertanto ritenne un proprio dovere lasciare aperte le porte dell’Università. La sua autonomia di intellettuale si impose sulla soverchia del governo dei notabili di Depretis. Siamo delusi dal non riscontrare tale autonomia di pensiero nei nostri presidi, che non hanno minimamente mostrato di voler cogliere le ragioni della protesta, ne hanno a tutt’oggi opposto la benché minima resistenza al ddl 1905 ed ai tagli. La piccola dose di fiducia che abbiamo riposto in loro all’indomani delle dichiarazioni di dissenso nei confronti del governo, la ritiriamo all’istante. A questi presidi ed alla maggioranza dei professori ordinari che essi rappresentano, interessa solo avere qualche spicciolo in più per proseguire nel lavoro incessante di cooptazione dei nuovi vassalli nei loro personalissimi feudi accademici e scientifici, ma ad un accettabile esito di questa contrattazione con il governo adempiranno, meglio di qualsiasi protesta, i loro colleghi senatori e deputati del PD e del PDL, e la lobby baronale della CRUI.
“All’inizio dell’incontro questa mattina, per assicurare che la platea fosse composta in modo pluralistico, è stato proposto che una rappresentanza dei manifestanti entrasse nell’aula, ma l’invito è stato rifiutato. Abbiamo cercato in tutti i modi a nostra disposizione di garantire che all’interno dell’edificio ci fosse calma, che gli studenti anche dissenzienti potessero entrare (circa una trentina è effettivamente entrata), che altri “non studenti” non potessero farlo. Il dibattito si è comunque svolto in tranquillità”

I presidi, per garantire la calma, hanno fatto la cosa più sbagliata, hanno cioè dato l’autorizzazione alla DIGOS di entrare nella facoltà, evitando di gestire la contestazione non come un loro problema politico, ma come una semplice infrazione dell’ordine pubblico. Non solo, ma in assemblea la preside di Scienze Politiche Alacevich ha aggiunto che questa autorizzazione negli ultimi tempi è stata rilasciata molte volte, nonostante le nostre proteste. Inoltre, pur non essendo stata autorizzata la presenza della celere in assetto anti-sommossa, essa era ben presente ALL’INTERNO del territorio universitario, cioè sotto al pergolato del D15, cosa che le ha permesso di impedire, a suon di bastonate, l’ingresso degli studenti nell’edificio. Non una parola su questo abuso di potere è stata espressa dai presidi nel loro documento, nonostante sia stato ammesso alla presenza degli studenti riuniti in Assemblea, cosa che dimostra l’UTILIZZO POLITICO E FAZIOSO DEL CONCETTO DI LEGALITA’ nel comunicato, e la volontà di riversare tutte le responsabilità delle cariche sulle spalle degli studenti che contestavano. A diversi studenti dissenzienti non è stata data la possibilità di entrare, ad esempio, dall’interno dell’edificio D14, mentre i cosiddetti dissenzienti entrati, accanto ad una maggioranza del PDL, erano nientemeno che alcuni Giovani Democratici del PD, che pur di sedere in parlamento ed al governo e pur d’essere sotto i riflettori in campagna elettorale, hanno legittimato un non-dibattito nell’Università. Ecco, finalmente si respirava, in quella stanza sigillata e protetta dalle voci esterne, la stessa aria ermetica di un salottino notturno di Vespa, di un acquario trasmesso ogni giorno in seconda serata su Raiuno.

Mai più salottini politici nella nostra facoltà, non è questa l’Università che vogliamo.
“Esprimiamo – concludono i presidi – forte rammarico e amarezza per gli incidenti svoltisi fuori dei locali dell’Università e per gli studenti che vi sono stati coinvolti e feriti”

Anche noi esprimiamo forte rammarico e amarezza per quanto accaduto, ma soprattutto con il dolore delle botte e la rabbia di chi è oppresso, chiediamo le DIMISSIONI IMMEDIATE E CONGIUNTE DEI TRE PRESIDI. Riteniamo questo, alla luce dei fatti del 25 novembre, delle successive dichiarazioni, ed alla luce dello stato nel quale si trova l’Università pubblica italiana oggi, un atto dovuto.

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