Non esistevano, dunque, in Italia studiosi seri e coscienziosi? Cosa facevano gli insegnanti universitari di geografia, di storia, di letterature straniere, di diritto internazionale, di cose orientali? Credettero anch’essi alle frottole dei giornali? E se non ci credettero, perché lasciarono che il Paese fosse ingannato? Oppure considerarono la faccenda come del tutto indifferente per la loro olimpica serenità? La risposta a queste domande non potrà essere molto lusinghiera per la nostra generazione.
(Gaetano Salvemini, 1914. A proposito della guerra libica del 1911-1912)
Ormai da qualche giorno vanno avanti i bombardamenti “umanitari” contro la Libia. Una risoluzione dell’ONU ha fornito il paravento dietro cui possono nascondersi i guerrafondai di tutte le latitudini. E così la “coalizione dei volenterosi”, che ora cerca riparo dietro le rassicuranti insegne della NATO, ha potuto scagliare missili Tomahawks, Agm-88 Harm e altri con i cui nomi ci troveremmo purtroppo a familiarizzare se non fosse per la cara informazione di regime che – sia benedetta! – cerca di proteggerci dalle brutture della guerra, nascondendoci accuratamente quelli che in gergo vengono definiti “effetti collaterali”, che poi non sono altro che uomini e donne dilaniati e massacrati dalle “nostre” armi.
Finora – bisogna ammetterlo – le manifestazioni contro la guerra non sono riuscite a fare breccia tra settori maggioritari della popolazione. La guerra “giusta” ha attirato sul proprio carro anche molti di quei pacifisti che solo qualche anno fa scendevano in strada per protestare contro le aggressioni militari in Afghanistan e Iraq. Anche in scuole e università è palpabile la percezione di “normalità”, non ci si sente “in guerra”.
Per fortuna, al contempo, stanno cominciando ad organizzarsi dei focolai di resistenza: in diverse città si sono organizzate manifestazioni di protesta e denuncia e sono in programma altre iniziative per ribadire la contrarietà a quest’aggressione imperialista, in cui l’Italia gioca un ruolo di prim’ordine. Si tratta di focolai che vanno moltiplicati e sviluppati, a partire dai luoghi che viviamo ogni giorno. Scuole e università sono sulla linea del fronte. Non per una pretesa centralità degli studenti e degli atenei, ma perché anche le istituzioni formative giocano un ruolo negli scenari bellici. Cosa ci insegnano ad esempio le scienze sociali? Non nasce forse anche col contributo dell’accademia la terribile teoria della “guerra umanitaria”? Insigni professoroni non ci insegnano che gli stati devono perseguire i propri interessi strategici? E naturale conseguenza di questo ragionamento non è forse “difendere” gli interessi dell’ENI e delle altre imprese italiane in Libia, minacciate dalla “concorrenza” di Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti? La Libia non è stata forse considerata come la nostra “quarta sponda”? E i sofisticati armamenti che vengono sperimentati oggi in Libia – domani chissà dove – in quale luogo pensiamo vengano inventati, modificati, resi più efficienti (dove efficienza sta per: più morti, più distruzione, meno rischi per l’aggressore)? Centri di ricerca e dipartimenti universitari non servono anche a questo?
Ma noi non dimentichiamo nemmeno che chi oggi sostiene che lottare contro la guerra significhi appoggiare Gheddafi ed è pronto ad indossare l’elmetto e a ciarlare di diritto internazionale, della bontà dell’ONU e della salvaguardia dei diritti umani, meno di un anno fa (era l’11 giugno 2010) invitava il carnefice libico con tutti gli onori, gli permetteva di tenere una lezione nell’università più grande d’Italia, La Sapienza, e cercava di allettare gli studenti promettendo l’elargizione di 3 crediti formativi a chiunque avesse assistito alla lectio magistralis!
Lottare contro la guerra significa lottare anche contro tutto questo. Sfidare l’apparato ideologico messo in piedi per giustificare l’intervento armato, demistificando i ragionamenti che continuano a propinarci, costruire e sviluppare la mobilitazione contro le basi, contro il militarismo, contro le spese militari (che continuano a crescere mentre i fondi destinati all’università, alla ricerca e in generale alle spese sociali si riducono drasticamente!), a livello locale e nazionale, è la strada da percorrere per chi vuole impedire gli eccidi, le umiliazioni e la sottomissione che le “guerre umanitarie” hanno sempre prodotto!
Costruiamo la resistenza contro la guerra imperialista!
Non esistono guerre umanitarie!
#1 di buy gold il 20 Aprile 2011 - 08:24
.Dallo sviluppo di guerra chimica moderna nella guerra mondiale I le nazioni hanno perseguito la ricerca e lo sviluppo sulle armi chimiche che entra in quattro categorie importanti nuovi ed agenti piu mortali metodi piu efficienti di trasporto degli agenti allobiettivo diffusione mezzi piu sicuri di difesa contro le armi chimiche e mezzi piu sensibili e piu esatti di rilevazione degli agenti chimici.. Tattico gli agenti nonpersistent sono molto utili contro gli obiettivi che devono essere rilevati molto rapidamente e controllati. La difesa contro gli agenti persistenti richiede la protezione per i periodi di tempo estesi.