Da qualche anno, esattamente dal 2008,
allo studente che si appresta ad entrare nell’Università, oltre alla
consueta corsa ad ostacoli rappresentata dai test all’ingresso, verrà
“offerta” una nuova e coinvolgente “attività formativa”
obbligatoria: lo stage (che mi raccomando NON si legge steigg) detto
anche tirocinio formativo.
Codesta imperdibile ed inevitabile
“esperienza d’apprendimento” era già prevista all’interno dei
nostri piani di studio da diverso tempo, purtroppo sottovalutata e
snobbata da troppi studenti frequentanti corsi ex/509 (quelli
derivanti dalla riforma Zecchino). Fortunatamente la ministra Moratti
nel 2004 ha pensato bene di rafforzare il tirocinio rendendolo
obbligatorio attraverso il suo decreto 270, ma nulla avrebbe potuto
senza l’aiuto de “l’amico e compagno” (come direbbe Fassino),
Fabio Mussi, che in un clima soporifero da governo di centro-sinistra
ha applicato diligentemente tal decreto 270, vantandosi di aver
razionalizzato l’Università ed inserendo il tirocinio nelle nuove
classi di laurea previste nei nuovi decreti applicativi. I presidi
delle nostre facoltà si sono infine affannati, in tumultuose
riunioni, a tappare le falle che le nuove disposizioni aprivano in
continuazione: mancanza di professori strutturati, troppi docenti a
contratto, quanti crediti per quell’esame, quanti per questo, e ci
serve l’ufficio stage, e ‘un ci serve… con la netta consapevolezza
che i vincitori di questa gara di contabilità e di ragioneria
avrebbero ottenuto qualche “sconticino” dal ministero.Cotanta efficienza riformistica
bipartisan si dispiegava nella primavera-estate del 2007.
…e perchè?
Il tirocinio è regolamentato a partire
dal 1997 (governo Prodi), ma un po’ stranamente non si trova nelle
leggi sulla scuola o sull’Università. Nel bestiario normativo
italiano lo si incontra tra le tante forme contrattuali atipiche, ma
attenzione, esso NON costituisce rapporto di lavoro, cioè il padrone
di turno presso il quale si svolge il tirocinio (povero!) non può
pagare nessun salario, nessun contributo per pensioni, ferie o
malattia. Può al massimo decidere di accordare al tirocinante un
rimborso spese, cosa che accade alquanto raramente. D’altronde,
perché pagare uno studente? Lo stesso regolamento parla di
“alternanza studio-lavoro” e di “conoscenza diretta del mondo
del lavoro”, per le quali lo studente NON ha giustamente diritto a
nessuna retribuzione, ne a nessuna garanzia di assunzione futura,
anzi, esso deve pagare le tasse universitarie: sta “effettivamente”
apprendendo!
Per garantire il sacrosanto diritto
delle imprese all’assunzione di stagisti, scuole ed Università si
sono dotate celermente di appositi istituti ed uffici: l’orientamento
lavoro per le une, il tutoraggio e gli “uffici stage” per le
altre, incassando la protesta delle agenzie interinali che hanno
giustamente espresso delle lamentele nei confronti di questa sleale
forma di concorrenza. Ma d’altronde steigg fa rima (o dovrebbe) con
formazione!
Questa fantastica forma di “formazione”
si estende a macchia d’olio oltre l’Università (tirocinio
post-laurea) e nella scuola, avendo l’attuale governo Berlusconi
aperto la possibilità di passare l’ultimo anno di scuola a
lavorare…gratis!
Non è un caso che tante aziende
assumano (cioè accolgano) solo stagisti, per lavori di bassa
manovalanza. Il tirocinio si configura, in breve, come una vera e
propria forma contrattuale di lavoro sottopagato, prevista
appositamente per quella parte della nostra vita che passiamo o
passeremo da studenti, medi o universitari poco importa.
La "solita" Italia o la "nuova" Europa?
”Il solito paese di m…a!”, viene
da dire. Ma non lo diremo, non perché non pensiamo che l’Italia non
sia tale attualmente, ma perché pensiamo che un po’ più in basso
nella classifica dei maleodoranti ci stiano Francia, Germania, paesi
scandinavi, insomma: la “nuova” Europa. In fondo il
centro-sinistra ed il centro-destra italiani non hanno inventato
nulla: l’impianto complessivo del sistema formativo quale va
configurandosi in Italia è una creazione europea, la cui genesi
formale si fa risalire alla Dichiarazione di Bologna del 1999. Il
tirocinio è uno degli strumenti reazionari previsti dalla
Commissione Europea (ma sarebbe meglio dire dall’ERT, la lobby degli
industriali europei) per costruire la “nuova Europa della
conoscenza”. L’intento è quello di rendere “occupabili” (e non
occupati) tutti i soggetti in formazione, che, in parte obbligati
dalla legge, in parte attratti, in un Europa piena di disoccupati,
dalla possibilità di “fare curriculum” o essere direttamente
assunti, passano una parte del loro percorso formativo nella forma di
forza-lavoro sempre disponibile, grazie all’istituto dello stage.
Questo avviene accanto ad un aumento impressionante della selezione
di classe lungo il percorso formativo (vedi ora i test d’ingresso in
tutte le facoltà)e ad un rimodellamento dei contenuti della
didattica sia nella scuola sia nell’Università sui bisogni
contingenti delle imprese, che entrano a pieno titolo a far parte dei
Cda (ddl Aprea e ddl Gelmini). Questo discorso vale sia quando il
tirocinio non può essere retribuito, come nel caso italiano, sia
quando il tirocinio è retribuito (male), perché rimane il fatto che
uno studente è implicitamente disposto ad accettare un salario più
basso di quello di un lavoratore strutturato, e perché una
“liberazione” così imponente di forza-lavoro disponibile (si
pensi a tutte le scuole e facoltà di Europa) non fa che rendere più
ricattabili gli attuali lavoratori (nonché i futuri). Ci sarà
sempre qualcuno pronto a prendere il loro posto!
Dobbiamo sempre tenere a mente che se
le imprese ci tendono la mano offendo tirocini e stage a tutto spiano
nell’Università, con quell’altra mano, quella che non vediamo,
licenziano e mandano in cassa-integrazione milioni di lavoratori e ne
riducono costantemente i diritti collettivi faticosamente
conquistati. L’introduzione del tirocinio obbligatorio è, molto
semplicemente, un altro tassello del disegno politico complessivo per
cui a “pagare la crisi” attuale saranno i soggetti deboli:
lavoratori e studenti.
A chi piace il tirocinio…
Noi non vogliamo criticare l’approccio
pratico alla materia di studio. Sappiamo bene che molti studenti
vedono nel tirocinio la possibilità di “applicare” quello che
hanno imparato tra i banchi o sui libri. Spesso nelle facoltà
umanistiche o di scienze sociali il tirocinio si risolve in una
sequela di mansioni dequalificate (dalla fotocopiatrice a lavoretti
di archiviazione al computer), ma in altri casi esso prevede un
utilizzo delle proprie conoscenze specialistiche, sopratutto nelle
facoltà scientifiche. Viene però da chiedersi: la natura di questo
apprendimento è neutrale, cioè teso alla ricerca della verità? O
piuttosto durante il tirocinio noi apprendiamo (e svolgiamo) quelle
mansioni, specialistiche o meno, funzionali alla valorizzazione del
Capitale, cioè al profitto delle imprese?
C’è una grossa differenza tra un
esperimento effettuato a fini didattici o di ricerca disinteressata
(come può avvenire in un laboratorio universitario), ed uno stage
presso la Novartis, in cui saremmo inseriti nel ciclo di produzione
del vaccino anti-suina, un affare miliardario per le case
farmaceutiche, realizzato a spese dei contribuenti.
Tale differenza consiste nelle finalità
reali alle quali è destinata la nostra ricerca ed il nostro lavoro:
competenza contro conoscenza, profitto contro bene collettivo,
mercificazione contro emancipazione.
Conclusione
A noi lo stage obbligatorio non piace,
anzi, per quanto detto finora pensiamo sia giusto eliminare tale
istituto. Analogamente non crediamo che il problema riguardi solo gli
studenti in quanto tali. I paragrafi precedenti evidenziano come solo
un legame stabile tra lavoratori e studenti possa garantire una
risposta al progetto complessivo di mercificazione della conoscenza e
di approfondimento dello sfruttamento sul lavoro. Pretendere
un’inversione totale di tendenza implica smantellare completamente
il Processo europeo di Bologna, nonché tutte le riforme nazionali
che lo affiancano. Significa anche imparare a ribellarsi, a
pretendere, a lottare per qualcosa, in una società per cui anche
lavorare per nulla costituisce un fatto positivo e di conseguenza una
norma, pur di rendersi più appetibili dinanzi al padrone di turno.
DIFENDIAMO IL DIRITTO ALLO STUDIO!
DIFENDIAMO I DIRITTI DEI LAVORATORI!