ASSEMBLEA DI POLO
DELLE SCIENZE SOCIALI
10 OTTOBRE ORE 15
POZZO LIBRARIO NOVOLI
Continua la road map contro i dirittiportata avanti dal Governo dei “tecnici”: dopo l’attacco alle pensioni, dopo lo smantellamento dell’articolo 18, dopo le numerose altre tutele e diritti dei lavoratori che vengono messe in discussione, adesso, ad essere preso di mira, è l’intero comparto della formazione.
Ma perché, dopo le misure “lacrime e sangue” previste dai provvedimenti precedenti, arriva proprio a questo punto un decreto legge che tocca il mondo dell’istruzione, oltretutto a costo zero, quindi senza alcuna possibilità di apportare modifiche strutturali? Perché la scuola e l’università, più di altre istituzioni, promuovono costantemente la costruzione e la riproduzione di un apparato ideologico perfettamente funzionale alle esigenze di quella classe dominante che sta portando avanti contemporaneamente l’attacco al mondo del lavoro. Da questo punto di vista, è necessario far penetrare, anche in queste istituzioni, il profilo ideologico che risulti organico al modello d’Italia che questa classe dirigente sta provando a delineare: un paese competitivo sul piano europeo e degno di fiducia agli occhi dei grandi imprenditori e di quelle moderne divinità chiamate mercati.
E così, ancora una volta, dietro il velo costituito dalla retorica del “merito”, si prova a nascondere un attacco impregnato da una netta ideologia classista, sferrato contro un’istruzione già martoriata dai precedenti tagli. Il decreto legge sembra, ad un’attenta analisi, più che altro un vero e proprio manifesto ideologico del Governo Monti, tutto incentrato sulla definizione di un’università e di una scuola sempre più d‘élite, in cui, quelli che dovrebbero essere diritti minimi garantiti a tutti gli studenti (borse di studio, agevolazioni in base al reddito, possibilità di approfondire i propri studi, ecc…), diventano privilegi esclusivi acquisibili solo attraverso una sorta di corsa all’eccellenza sempre più individualista e feroce.
Ma entriamo nel “merito”: la bozza del decreto legge introduce una serie di novità che balzano agli occhi, tra le quali l’istituzione del premio “Studente dell’anno” nelle scuole superiori (art. 3, comma 1). Al di là della facile ironia che suscita questo titolo dal sapore di MacDonald’s (nel senso dell’incensare di volta in volta il “migliore” lavoratore, tra quelli che subiscono la condizione peggiore), si tratta dell’ennesimo tentativo di costruire una scuola che abbia tra i compiti l’instillazione negli studenti, sin dall’inizio del proprio percorso, di uno spirito aziendale, dominato dai presunti valori della competizione, dell’arrivismo più spietato, del “tutti-contro-tutti”.
Chi sarà a brillare? Chi meriterà i privilegi dello “Studente dell’anno”? Chi sarà il solo che potrà godere dei diritti che, anno dopo anno, riforma dopo riforma, sono stati sottratti a tutti gli altri? Sicuramente una notevole marcia in più l’avrà chi si dimostrerà più competitivo e individualista. Chi avrà a disposizione, già in partenza, strumenti economici migliori. Chi proviene da famiglie e contesti sociali privilegiati.
Avranno poche speranze di riuscire a competere in questa “corsa”, invece, quelli che vengono da famiglie disagiate e sui quali la classe dirigente, di cui fanno parte gli stessi riformatori dell’istruzione, continua a scaricare i tremendi costi della crisi. E come saranno scelti i “migliori”? Niente di più facile: fin dalla giovane età, ogni studente sarà dotato di una sorta di Curriculum Vitae chiamato “Portfolio” (art. 4), in cui sarà descritto, giudicato e “classificato”, secondo criteri stabiliti dallo stesso Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Questi dati potranno poi essere resi pubblici e consultabili dalle aziende che, in questo modo, si vedranno assicurare da parte delle scuole, tramite stage e tirocini, manodopera gratuita, perfettamente in linea con le loro esigenze e magari anche opportunamente formata come meglio aggrada all’ente privato che li farà lavorare.
Ma adesso, veniamo all’università. Quali sono i cambiamenti in quella che viene spacciata come la “fucina del sapere critico”, come il luogo della “libera condivisione della cultura”? Sulle macerie di un’università pubblica sempre meno di massa, devastata dai tagli e resa un vero e proprio “esamificio”, continuano ad essere erette le cattedrali dorate da un lato, riservate esclusivamente ad una sempre più ristretta élite di studenti privilegiati, e le “università parcheggio” dall’altro, accessibili dalla maggior parte degli studenti.
Il testo, infatti, prevede che gli atenei forniscano al Ministero dell’istruzione, dell’Università e della Ricerca, una lista del 5% dei migliori laureati (migliori secondo chi? migliori a fare che?) (art. 11 comma 1). Ritornano, a questo punto, le domande che ci siamo già posti su chi rientrerà in questo empireo dei migliori, nella cerchia di coloro che meglio si sono adeguati alle esigenze di un’università-azienda, ormai interamente asservita a logiche di profitto e di mercificazione della cultura. Difficilmente saranno studenti-lavoratori o che hanno possibilità economiche ridotte, difficilmente saranno studenti a cui non vengono garantite le borse di studio o altri servizi minimi a fronte di redditi bassi. Inoltre, da questo elenco di super-virtuosi, a questo punto gli unici a beneficiare di una sorta di ascensore sociale più veloce degli altri, arriva un ulteriore regalo per le aziende che si vedranno riconosciuti sgravi fiscali nel momento in cui li assumeranno a tempo indeterminato entro i tre anni dalla laurea. (art 11 comma 3)
Ma continuiamo nell’analisi. Il ruolo chiave che viene assegnato alla massiccia introduzione di test psicoattitudinali e valutativi e ai test d’ingresso (già introdotti nelle sempre più numerose facoltà a numero chiuso), oltre che ostacolare ulteriormente gli studenti nel loro percorso, non è altro che indice di una concezione di cultura nozionistica, parcellizzata, perfettamente misurabile e quantificabile da chi la vorrà poi sfruttare, assolutamente mai critica o libera. Inoltre si intravede con ancora maggiore nitidezza il tentativo di viaggiare sempre più velocemente verso un orizzonte sociale in cui l’accesso all’università non sia per tutti ma anzi, nettamente riservato solo a chi è potuto diventare meritevole.
Anche la ripetizione, quasi ossessiva, nel lessico del testo di legge delle parole “merito”, “competitività”, “eccellenza”, “performance” (è prevista addirittura la creazione della carta “IoMerito” a disposizione dello Studente dell’anno), non è legata ad una semplice scelta formale o stilistica, bensì ad un chiaro indirizzo ideologico, che deve risultare efficacemente pervasivo e onnipresente se vuole indirizzare, sin da subito, la mentalità degli studenti verso la realizzazione dell’ideale del self made man, dello squalo che si è “meritato” di essere meglio di tutti gli altri.
L’obbiettivo è chiaro: renderci, oggi, soldatini l’un contro l’altro armati e orgogliosi dei diritti-privilegi che ci vengono concessi in virtù della nostra eccellenza nell’assorbire acriticamente le nozioni, per sfornare, domani, forza-lavoro estremamente disciplinata, docile, frammentata e incapace di organizzarsi, pronta ad essere immessa in un mercato del lavoro in cui si ritroverà sempre più sfruttata in nome della concorrenza e della tanto agognata “crescita” (del profitto dei “tecnici” e dei loro omologhi di cui stano portando avanti, politicamente, gli interessi).
I cambiamenti che interessano il comparto dell’istruzione, quindi, sono nettamente funzionali alla ristrutturazione dell’intero sistema produttivo: lo studente, già formato in un’ottica di obbedienza e accettazione passiva delle logiche di produttività e arrivismo, non dimostrerà particolari problemi a piegarsi a condizioni lavorative che lo vedono sempre meno tutelato, sempre più privato dei propri diritti, sempre più sfruttato e ricattabile.
Sarà sempre più forte da parte delle università la tendenza ad accontentare i gusti delle aziende e dei privati in fatto di formazione e disciplinamento per servirgli poi, su un piatto d’argento, della forza-lavoro cotta a puntino o, come viene scritto nel testo, a prepararla in modo adeguato alle richieste del mercato del lavoro (art. 7 comma 1) .
Sono evidentemente tese a confondere le proteste e le finte critiche mosse da entrambi gli schieramenti politici a questo decreto legge, che altro non è che il naturale proseguimento delle riforme attuate negli anni scorsi dai governi di centrodestra e di centrosinistra di cui facevano parte. Se le riforme scolastiche degli anni precedenti, infatti, hanno tagliato massicciamente i fondi destinati all’istruzione pubblica, adesso, che fondi da tagliare non ce ne sono più, si sta concretizzando una conseguente e spietata differenziazione di classe tra gli stessi studenti. Non è un caso che a portare avanti questo processo siano personalità legate al mondo della formazione più elitaria (bocconiani, rettori, baroni e professori di università private sono i personaggi che costellano, infatti, questo esecutivo) considerate di gran lunga più competenti, “presentabili” , autorevoli e intoccabili dei ministri precedenti.
Insomma, a rischio di diventare ripetitivi, è bene che tutti si ficchino in testa che la direzione verso la quale quest’ultimo disegno di legge viaggia spedito è chiara: università d’eccellenza e canali privilegiati per pochi e sistematico smantellamento dei diritti e dei servizi sociali per gli tutti gli altri. Una direzione che risultava già lampante ad una attenta lettura della lettera dello scorso autunno del Governo alla BCE (qui un nostro commento), nella quale si aspirava ad un sistema scolastico e universitario dominato dalla cultura della valutazione, della produttività e della competizione, in cui gli studenti non sono niente altro che “capitale umano” pronto per essere valorizzato, sfruttato.
E’ necessario ribadire che la logica del merito altro non è che la logica del più forte, in un orizzonte sociale nel quale le differenze di classe tra i pochi ricchi e i sempre più numerosi poveri, si fanno sempre più acute e vincolanti rispetto alle possibilità reali di un seppur minimo miglioramento delle proprie condizioni di vita.
Non c’è nessuna discontinuità tra le riforme contro le quali migliaia di studenti di tutta Italia sono scesi in piazza gli scorsi anni e la riforma appena stilata: tutte mirano a ridefinire il mondo della formazione così da renderlo completamente funzionale agli interessi dei privati che, dentro e fuori le scuole e le università, cercano di plasmare a loro piacimento la futura classe lavoratrice.
A fronte di tutto questo cosa faremo? Saremo in grado di opporci a queste misure e schierarci al fianco di chi sta resistendo alle stesse logiche di sfruttamento nel mondo del lavoro? Come riusciremo a contrattaccare a tutto questo?
È necessario essere in grado di reagire e la risposta a queste domande non può che sorgere dalla partecipazione diretta degli studenti a una forte mobilitazione, magari guardando con attenzione alla entusiasmante lotta degli studenti canadesi che si sta sviluppando proprio in questi mesi. Portando nelle piazze la propria rabbia, gli studenti hanno costruito una mobilitazione capace di essere radicale e di massa, capace di resistere e rispondere a una quantità spaventosa di arresti senza fermarsi o farsi intimorire. Gli studenti del Québec stanno portando avanti una lotta apparentemente lontanissima dalla nostra, ma che ha la stessa matrice: la resistenza alla trasformazione del sistema formativo che non permetterà a larga parte delle persone di accedervi e la necessità di ribellarsi al comune stato di cose presente.
I diritti non si meritano, si conquistano!
Riforma Profumo: non meritiamo tutto questo!
No alla scuola dei padroni!