PERCHE’ NON CI CANDIDIAMO ?
Storicamente la possibilità per gli studenti di eleggere dei rappresentanti negli organi gestionali delle università era – ed è ancora oggi – vissuta come una grande conquista, come la possibilità di partecipare attivamente alla gestione amministrativa, didattica e di bilancio delle Università.
Noi, invece, siamo sempre stati contrari a questo meccanismo, ritenendo fondamentale il rigetto della delega. Odiamo la passività che consegna il potere decisionale nelle mani di un gruppo organizzato che ti chiede di essere politicamente attivo solo per firmare i moduli per la presentazione della lista e di mettere una croce ogni due anni.
Abbiamo partecipato alle elezioni, negli anni passati, sempre con la prospettiva di eleggere non dei rappresentanti degli studenti ma dei “raccoglitori di informazioni”, utili ad organizzare la lotta al di fuori degli ambiti istituzionali. Una lotta costantemente attiva (e non solo in campagna elettorale), fatta di riappropriazione dal basso degli spazi che quotidianamente viviamo, di discussione costante, di costruzione di dissenso, conflitto e sapere critico. Un lavoro che necessariamente vive del protagonismo diretto degli studenti.
In secondo luogo, l’illusione di poter incidere sulla realtà attraverso i canali di rappresentanza è ormai finita. I fatti ci hanno messo di fronte al dissolversi della cortina di fumo che ha avvolto la presenza degli studenti negli organismi decisionali. In realtà si tratta di una presenza strumentale per le istituzioni universitarie, finalizzata ad aumentare la legittimità delle decisioni prese.
E se le decisioni sono, come in questi anni, tutte volte all’aziendalizzazione dell’università, a cancellare gli spazi di discussione critica, ad aumentare la selezione di classe per escludere le fasce più deboli, a ridurre o cancellare quei corsi poco funzionali al profitto dei privati.. beh.. diventa evidente che la presenza studentesca è solo complicità e legittimazione di un potere che ha sede altrove. L’inganno appare ancora più evidente se si aggiunge la totale sproporzione tra la componente studentesca negli organi decisionali e le altre componenti o che le decisioni prese col metodo del silenzio-assenso. Ben ci ricordiamo di alcuni professori che, durante la seduta del Senato Accademico che nominava due esponenti di Confindustria nel Consiglio di amministrazione dell’Ateneo, mentre noi contestavamo quella decisione, ci dicevano che l’ingresso dei privati nel C.d.A. era inevitabile, prescritta imperativamente dalla Legge Gelmini e dai decreti Profumo.
Noi ci siamo mobilitati nel 2008 con il movimento dell’Onda e poi ancora nel 2010 con un movimento molto più radicale ma l’unica risposta delle istituzioni è stata la repressione poliziesca. Chi invece si è mosso attraverso gli organi istituzionali cosa ha ottenuto? La chiusura totale dei canali di mediazione ha spazzato via ogni definitiva illusione di poter agire dall’interno in senso migliorativo. L’imperativo è la crisi, l’imperativo sono i tagli, l’aziendalizzazione, l’abolizione del valore legale del titolo di studio, la didattica frontale, la riduzione degli spazi di critica.
Abbiamo deciso, quest’anno, di dare valore definitivo alla nostra scelta di protagonismo diretto e di rigetto della delega. Abbiamo deciso, quest’anno, di non diventare strumenti di legittimazione di un processo decisionale che ha bisogno di noi studenti solo per avere una parvenza di democraticità.
Dobbiamo smettere di occuparci della cadenza degli appelli mentre le Università sono smantellate dalle fondamenta, mentre i lavoratori delle cooperative appaltatrici dei servizi dell’università vengono privati del diritto al salario, mentre i tirocini trasformano gli atenei in serbatoi di manodopera gratuita o malpagata, mentre un professore arriva a definirci “output da inserire nel mercato del lavoro il prima possibile”.
In un quadro così drammatico non vogliamo fare la parte degli “utili servi”. Al contrario, vogliamo conquistare spazi di autogestione, di resistenza e di sapere critico. Vogliamo organizzare un fronte di lotta comune tra studenti e lavoratori, dentro la crisi e contro il capitalismo, tenendo presente che l’Università non è un mondo a sé stante ma un luogo tutto interno alla società, dove pesano gli stessi rapporti di forza esterni tra chi sfrutta e chi è sfruttato. Per questi motivi decidiamo di non partecipare alle elezioni: ci troverete (e speriamo vogliate unirvi a noi) come sempre a lottare per riprenderci ciò che ci spetta…
PERCHE’ I DIRITTI NON SI MERITANO, SI CONQUISTANO!
La destra all’università…
CDX PER L’UNIVERSITA’ (cioè i fascisti in facoltà…)
Un listone in cui convivono due realtà: Studenti per le Libertà (PDL) e Azione Universitaria. Quest’ultima in particolare, nascondendosi dietro a campagne contro l’illegalità e il “degrado” (vedi le loro battaglie contro lo Spazio Autogestito – aula autogestita da e per gli studenti – e per le bacheche blindate) svela, in realtà, la sua natura propriamente fascista: al suo interno, infatti, sono presenti candidati di Casaggì.
Il nome di questa realtà “scomoda” è stato omesso volontariamente dalla lista, per tentare di mantenere la faccia pulita davanti all’università e agli studenti. Casaggì si definisce un centro sociale di destra, propaganda materiali fascisti e imbratta la nostra città con manifesti “identitari”, scritte e croci celtiche.
Le loro principali iniziative sono fin troppo eloquenti: il 25 aprile (liberazione nazionale) e l’11 agosto (liberazione di Firenze) i militanti di Casaggì organizzano una commemorazione dei combattenti della Repubblica di Salò e dei franchi tiratori (soldati fedeli a Mussolini che sparavano dai tetti sui civili inermi per coprire la ritirata tedesca).
Inoltre nella loro sede si svolgono dibattiti e incontri con “vecchi” personaggi dell’estrema destra italiana tra cui Mario Merlino (terrorista nero degli anni 70 indagato per la strage di Piazza Fontana) o Gabriele Adinolfi (fondatore dell’organizzazione eversiva neofascista Terza Posizione e indagato per la strage di Bologna). Per finire, assieme ai camerati di Casapound, sfilano nell’annuale parata commemorativa in onore dei martiri delle foibe. Così, questi personaggi mistificano e revisionano la storia, parlando di “migliaia e migliaia di morti italiani infoibati”, dimenticando i lager e le stragi fasciste sul confine orientale e dell’importanza della resistenza italiana e jugoslava. Anche quest’anno a marzo la città si è fermata per far sfilare un centinaio di fascisti provenienti da tutta Italia, sostenuti (ahinoi!) dalle istituzioni cittadine. Tutte queste iniziative vedono protagoniste anche Azione Universitaria che, accogliendo nella propria lista Casaggì, dimostra ancora una volta il suo vero volto.
PROGETTO FIRENZE DINAMO
Lista che non è riuscita a candidarsi per insufficienza di firme necessarie ma che è alquanto pericolosa e perciò da conoscere.
Si tratta di un progetto di una delle sigle dell’estrema destra cittadina, La Fenice, e che per adesso si concretizza in un sito e in un adesivo. Questa “associazione culturale” è un ritrovo di fascisti legati a Forza Nuova, partito famoso, in altre città e università italiane, per le aggressioni a migranti, attivisti antifascisti e omosessuali. I loro cavalli di battaglia sono la lotta al “degrado” cittadino e l’esaltazione della “fiorentinità”, cercando con questi discorsi populisti di intercettare più gente dei soliti quattro o cinque.
LISTA APERTA
Emanazione diretta della lobby catto-liberista “Comunione e Liberazione”, è un gruppo integralmente votato all’occupazione sistematica del potere e delle poltrone. Totalmente assenti dalla vita politica del polo, riappaiono soltanto in campagna elettorale per poi scomparire nuovamente subito dopo. Diffidate da loro.
… E LA SINISTRA?
Storicamente le “vittorie riformiste” riportate all’interno delle istituzioni universitarie sono state il frutto di un compromesso tra la radicalità delle rivendicazioni dei movimenti studenteschi e la necessità da parte delle istituzioni universitarie di contenere e gestire tali rivendicazioni – appunto tramite i canali rappresentativi. Tuttavia, oggi la violenza della crisi, impone senza alcuna mediazione, politiche di tagli, riduzione dell’offerta formativa, aziendalizzazione e meritocrazia classista. Si spezza definitivamente quel meccanismo al ribasso che permetteva di ottenere almeno qualche briciola.
Se prendiamo in esame, ad esempio, i risultati ottenuti negli ultimi anni dai movimenti studenteschi, a partire dall’Onda del 2008 fino alle più recenti mobilitazioni, appare chiara la chiusura totale di ogni possibile margine di mediazione istituzionale.
Ben ci ricordiamo, solo per citare un caso eclatante, che il Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari, organo che in teoria dovrebbe funzionare da consulente per il Ministro dell’Università e della Ricerca, non viene quasi mai convocato ma sopratutto non è mai stato preso in considerazione. La proposta di legge alternativa alla Riforma Gelmini, infatti, scritta da alcuni sindacati studenteschi, fu cestinata immediatamente.
La riforma Gelmini, il pacchetto Profumo e le loro conseguenze ormai sono una realtà con cui tutti si trovano a dover fare i conti; a nulla sono servite petizioni, accordi corporativi con i professori e soprattutto la presenza degli studenti all’interno di quelle istituzioni deputate ad eseguire tagli e privatizzazioni. Anche quelle liste (UdU-SU e CSX per l’università) finanziate e dirette dalle organizzazioni della “sinistra” istituzionale come CGIL e PD, non riescono più ad ottenere neanche un appello in più. È evidente che ci troviamo a fare i conti con una vera e propria inversione semantica del termine “riformismo”. Non più riforme per espandere i diritti dei lavoratori e degli studenti ma per difendere i profitti dei padroni socializzando le perdite.
Negli ultimi anni, molti settori del movimento studentesco si sono trovati a maturare la posizione di rifiuto della presenza degli studenti nelle istituzioni rappresentative che, oltre ad essere inutile tatticamente, finisce per legittimare i processi di ristrutturazione del comparto formativo. Chi si illude (o peggio: propaganda in malafede) di voler “cambiare il sistema dall’interno” non può che finire inevitabilmente per diventare un mero esecutore, un amministratore di tagli e privatizzazioni.