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Giulio Palermo: tra la censura di Carocci e quella del Carroccio

Da Giulio Palermo, un ricercatore di Brescia, ma soprattutto un compagno che paga quotidianamente la sua presa di posizione al fianco delle persone che lottano, dagli immigrati agli studenti.

Sono un ricercatore universitario di Economia politica all’università di Brescia (entrato tramite un ricorso al Tar, avendo sempre rifiutato la logica della cooptazione baronale). In questi giorni sarebbe dovuto uscire un mio libro intitolato “La congiura dei baroni: Breve storia dell’università tra cooptazione, contestazione e mercificazione”. La casa editrice cui mi ero rivolto e che aveva accettato la mia proposta è Carocci. Revisione di bozze fatta, isbn assegnato e libro già in vendita su internet (amazon, unilibro, ebay, …), con sconti e promozioni. Il problema è che non uscirà mai, causa CENSURA. Il 23 dicembre, all’indomani dell’approvazione della riforma Gelmini e a dieci minuti dalla chiusura natalizia delle case editrici, mi ha infatti scritto Carocci per comunicarmi che “non sussistono le condizioni per proseguire i nostri contatti e inserire il volume nei nostri piani editoriali”. Così, secco, senza spiegazioni e senza tanti convenevoli.

Voglio precisare che non c’è stato nessuno screzio tra noi e che, dal punto di vista commerciale, mi sembra evidente che l’attualità politica sia ottimale ai fini dell’uscita di un libro di questo tipo. Credo dunque che sia intervenuto qualche fattore politico esterno. Forse da parte di quegli stessi soggetti che mi hanno preso di mira per le cose che scrivo e per le lotte che faccio. Prosegui la lettura »

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LONDON CALLING… ROME BURNS!

DUE PAROLE SUL 14 DICEMBRE A ROMA

Il 14 dicembre è stata una giornata storica. Dopo anni di passività e rassegnazione, migliaia di giovani hanno deciso di riprendere in mano il loro futuro e sono scesi in piazza per sfiduciare questo e tutti i governi che negli anni hanno contribuito alla sottrazione sistematica dei diritti sociali.

Scendere in piazza quel giorno era, per noi studenti, una scelta obbligata. Non inserire la lotta al ddl Gelmini in un quadro più ampio avrebbe, infatti, portato il movimento a compiere gli stessi errori fatti durante l’Onda del 2008 in quanto solo l’ampliamento dello spettro di azione, trascendendo dal singolo atto legislativo, può portare ad un reale cambiamento.

Alla manifestazione c’erano più di 100.000 persone e, per quanto politici e sedicenti intellettuali (la lettera di Saviano è esemplificativa) abbiano condannato fermamente gli scontri di Roma riducendoli all’azione di provocatori, infiltrati e teppisti, noi sappiamo che la realtà è molto diversa. Eravamo in quella piazza. Eravamo dietro quegli Prosegui la lettura »

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Comunicato dopo l’assemblea d’ATENEO di venerdì 5 novembre

Venerdì 5 novembre, nell’aula magna del rettorato dell’università di Firenze si è svolta una molto partecipata assemblea di ateneo. L’assemblea, fortemente voluta dagli studenti e rimandata per cavilli burocratici da martedì a venerdì, era stata richiesta per ottenere dal rettore e dagli organi accademici una presa di posizione forte contro il ddl 1905.

Dai diversi interventi si è palesata la necessità di iniziative forti che, dimostrando la contrarietà dell’ateneo fiorentino al ddl, rendano plausibile l’interruzione dell’iter di questa legge.E’ stato chiesto il blocco della didattica per poter aprire spazi di confronto nelle singole facoltà, è stato chiesto alle maggiori cariche dell’ateneo di rassegnare le proprie dimissioni Prosegui la lettura »

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COMUNICATO DI SOLIDARIETA’ AI 13 CONDANNATI PER I FATTI DEL 1999

Solidarietà ai 13 condannati per i fatti del 1999

Il 5 novembre a Firenze si svolgerà un processo politico, uno dei tanti che vengono “celebrati”, è proprio il caso di dirlo, in questi anni bui. Sul banco degli imputati 13 persone, colpevoli di aver manifestato contro la guerra mossa dal governo D’Alema nei confronti della Serbia nel lontano 1999. Guerra che viene ricordata con un aggettivo che stravolse i ruoli tra le vittime e i carnefici e cioè come “umanitaria”.

Il sostegno spregiudicato che il governo di centro-sinistra diede allora agli interessi economici e strategici interni al nostro paese, venne dipinto come una operazione necessaria alla Prosegui la lettura »

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AL FIANCO DELLA RESISTENZA PALESTINESE

SABATO 17 GENNAIO – ROMA
MANIFESTAZIONE NAZIONALE

PER LA PALESTINA 

vedi Palestina_Rednet.pdf

 

 Dal 27 dicembre va avanti la sanguinosa aggressione sionista contro la
Striscia di Gaza: prima raid aerei e bombardamenti che hanno colpito un
milione e mezzo di persone già stremate dal lungo embargo che da mesi
impedisce l’arrivo di cibo, medicinali e carburante, poi l’attacco di terra
con i tank. Israele non si è fermata davanti a nulla: ha colpito scuole,
ospedali, moschee, persino le abitazioni dove aveva fatto radunare le
famiglie… La Croce Rossa ha parlato di “crisi umanitaria totale”. Si
tratta in realtà di una mattanza: oltre 900 morti (fra questi circa 300
bambini e un centinaio di donne), e quasi 4.000 feriti!
Nel lager a cielo aperto di Gaza, il dolore è senza fine. Ancora scioccata
dalla guerra in Libano del 2006, Israele non pone più obbiettivi alla sua
azione. Parla di doversi “difendere” dal lancio dei razzi, ma non dice
che l’ONU prevede il diritto alla resistenza di un popolo sotto assedio,
“dimentica” i dati del suo stesso Ministero (che conta, nel periodo
2001-2008, 23 vittime israeliane causate dai lanci, a fronte di circa 4.000
palestinesi uccisi, fra cui quasi un migliaio di bambini), usa armi non
convenzionali, non rispetta nessuna tregua… Quindi ammette di voler
rovesciare i “terroristi” di Hamas, democraticamente votati dal 65% dei
palestinesi in libere elezioni. All’interno, poi, la teocrazia israeliana
si vanta di essere “democratica”, ma manganella e arresta le migliaia
di arabi e israeliani scesi a manifestare nelle sue strade, e condanna a 30
anni di prigione Sa’adat, leader del Fronte Popolare per la Liberazione
della Palestina, riconoscendolo colpevole di militare per un’organizzazione
laica, democratica, antimperialista, di non chinare il capo di fronte al
quotidiano massacro della sua gente.
Parallelamente, nelle nostre città, la repressione dei governi
filo-israeliani ( di destra o “sinistra” che siano ) si abbatte su
chiunque osi dissentire sulla politica criminale dello Stato di Israele.
Proprio in questi giorni sarà pronunciata la sentenza del processo contro
7 compagni del Collettivo Politico di Scienze Politiche di Firenze,
imputati per aver contestato nel 2005 l’allora ambasciatore di Israele
Ehud Gol invitato all’università per tenere una “lezione sulle
prospettive di pace in Medioriente”.
In una situazione impossibile, avendo contro l’imperialismo degli USA,
dell’UE, i corrotti regimi arabi, i mass media occidentali, il popolo
palestinese continua a resistere. E ci invita a sostenerlo, a far sentire
sempre più forte la nostra voce, a scendere in piazza, a mobilitare
l’opinione pubblica, a fare pressione sul nostro governo. Davanti a una
tale carneficina non possiamo essere “equidistanti”! La lotta del
popolo palestinese è la nostra lotta!


FERMIAMO L’AGGRESSIONE ISRAELIANA!
PER UNA PALESTINA UNITA, LIBERA E ROSSA!

SOLIDARIETA’ AI COMPAGNI SOTTO PROCESSO!


LIBERTA’ PER SA’ADAT!

 

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DOCUMENTO POLITICO DELL’ASSEMBLEA NAZIONALE

Il 13 e 14 dicembre 2008 si è tenuta all’Università di Tor Vergata un’assemblea nazionale di movimento, nata da un’esigenza largamente condivisa da quei singoli e realtà politiche che hanno attivamente preso parte, in questi mesi, alle proteste contro la legge 133 e contro tutte le misure governative in materia di Scuola, Università e Ricerca.
Dopo una prima fase di mobilitazione, in cui l’agitazione spontanea è stata predominante, si sono infatti cominciate a definire le rivendicazioni e a costruire le piattaforme politiche, entrando nel merito delle tante questioni aperte dal movimento. In questa seconda fase ci siamo resi conto che, condividendo punti di vista e prospettive, era necessario socializzare i percorsi di lotta e le analisi politiche maturate negli ultimi mesi e negli anni precedenti. Naturalmente quest’assemblea non ha rappresentato che un primo passaggio, necessario ma non sufficiente: quello conseguente è lavorare insieme per incidere in maniera efficace sul tessuto sociale e sulla realtà quotidiana.

La due giorni di intensi dibattiti si è articolata in due momenti di confronto assembleari sull’autorganizzazione, e in due tavoli di lavoro plenari, che hanno affrontato il rapporto fra “Scuola e Università, Capitale e Lavoro” e fra “Università e movimenti sociali”. La prima necessità dell’assemblea è stata infatti quella di fare il punto sulle varie esperienze di mobilitazione, e di portare avanti l’analisi teorica in modo da strutturare meglio le proprie pratiche.
Non è quindi un caso che il perno della discussione in tutte le assemblee sia stata la lettura della crisi economico-finanziaria. Differentemente da tutti quelli che hanno sprecato fiumi di inchiostro sostenendo che la “crisi” è solo “crisi della finanza”, noi siamo convinti della necessità di ribadire che si tratta sì di crisi, ma di una crisi di accumulazione capitalistica che viviamo da almeno trent’anni, e di cui la recente deflagrazione finanziaria è soltanto l’ultimo, violento, momento di svolta. I meccanismi di speculazione e indebitamento, che oggi vediamo crollare, non sono infatti il prodotto di alcune “mele marce”, ma una delle strade battute a partire dagli anni ’70 per sopperire alle difficoltà di valorizzazione dei capitali. Mettere in discussione il capitalismo significa quindi prima di tutto chiarire che non può esistere un lato ‘buono’ di un sistema fondato su sfruttamento ed oppressione: finanza ed economia reale sono due aspetti dello stesso modo di produzione. Condannare il capitalismo rapace degli speculatori e delle banche, lasciando intendere che ve ne sia uno buono da difendere, o uno “sostenibile”, significa mistificare la realtà, e cedere le proprie armi critiche al nemico.

Per tentare di uscire da questa crisi di accumulazione, il capitale ha messo in campo diverse strategie: oltre alla finanziarizzazione e al controllo dei fondi e delle politiche monetarie attraverso organizzazioni transnazionali, è ricorso anche alla guerra globale e allo sfruttamento massiccio dei paesi del Sud del mondo (sia delocalizzando lì la produzione, sia abusando delle ingenti risorse naturali di quei territori). I governi e gli imprenditori, con la collaborazione di finte opposizioni politiche e il ruolo attivo dei sindacati concertativi, hanno poi attaccato direttamente le condizioni di vita delle classi subalterne. Hanno tentato di ridisegnare tutta la società, modificando alcuni aspetti fondamentali della sua organizzazione: il ruolo dello Stato, il mercato del lavoro, il sistema pensionistico, la sanità, i trasporti, incentivando lo scempio ambientale e la privatizzazione di risorse quali l’acqua e l’aria. In questo modo hanno limitato e depotenziato la conflittualità sociale, aperto incessantemente nuovi spazi di mercato, suscitato ad arte nuovi, redditizi bisogni.

In questo vasto processo di precarizzazione e sfrenata mercificazione, l’istruzione e la ricerca non sono state risparmiate, ma riformate rispondendo all’esigenza di costruzione di un’economia basata sulla conoscenza. È per costruire uno Spazio Europeo dell’Educazione Superiore e della Ricerca (funzionale, insieme all’Esercito europeo, all’aspra competizione sullo scenario mondiale) che i governi dei paesi membri dell’UE stanno armonizzando i sistemi di istruzione, portando avanti, pressoché ovunque, “riforme” di stampo neoliberista (si pensi alla Francia, alla Spagna, alla Grecia). Indagare le connessioni che esistono tra il sistema formativo, il quadro economico generale e le ristrutturazioni che avvengono a livello europeo ci ha permesso di comprendere in che modo i meccanismi di selezione di classe e di disciplinamento si sono evoluti e si evolvono, proprio a partire da scuole ed università.

Da questo punto di vista, l’introduzione del 3+2, di stage e tirocini obbligatori durante il corso di studi, del sistema dei crediti formativi (CFU), il nuovo ruolo dei privati negli atenei, il life-long learning, lo smantellamento di ciò che resta del diritto allo studio (mense, residenze, borse di studio), sono solo alcuni degli elementi concreti emersi durante la discussione assembleare.

Il credito formativo è stato uno dei punti dirimenti del confronto: la posizione “suggerita” dai report della Sapienza (workshop del 15 novembre), ovvero l’abolizione del sistema dei CFU attraverso un loro “inflazionamento”, è stata messa duramente in discussione. Il credito è definito come la misura del volume di lavoro di apprendimento, compreso lo studio individuale, richiesto ad uno studente in possesso di adeguata preparazione iniziale per l’acquisizione di conoscenze ed abilità nelle attività formative previste dagli ordinamenti didattici dei corsi di studio (cfr. Decreto Ministeriale, 3 nov. 1999, n. 509). Non è altro che una misurazione matematica del tempo di apprendimento (e non della conoscenza) che ha contribuito all’ulteriore dequalificazione della didattica. Esso racchiude la somma di lavoro che va dalla didattica frontale (apprendimento formale), allo studio a casa, fino all’acquisizione di skill e dispositivi pratici sui luoghi di lavoro (apprendimento informale). Non importa dunque l’acquisizione di un metodo, o una complessiva crescita culturale e personale, ma solo il riempimento di tempo “vuoto” con una serie di nozioni parcellizzate. Se dunque da una parte il credito formativo spinge ulteriormente in avanti il processo di mercificazione dei saperi (si pensi anche alle vergognose convenzioni con corporazioni di ogni tipo che le Università hanno sottoscritto per fare cassa, rese possibili proprio dall’introduzione del CFU), dall’altro contribuisce a creare uno standard comune di accesso al mercato del lavoro a livello europeo.

Così, l’ipotesi di “inflazionamento” dei CFU è paradossale e segna un arretramento delle nostre lotte: si dice di criticare il contenuto, ma non si tocca il contenitore. Piuttosto si collabora e legittima il sistema dei crediti, gli si conferisce credibilità presso gli studenti, e si portano, già nella fase della formazione, logiche baronali e di cooptazione, attraverso lo sviluppo di rapporti privilegiati con i docenti e con le autorità accademiche che devono riconoscere il “controcorso” (e che non hanno troppi problemi a farlo, visto che nel quadro di un assoggettamento totale dei percorsi curriculari alle esigenze del capitale, viene prevista quest’irrisoria valvola di sfogo: già la legge Ruberti del 1990 prevedeva attività formative autogestite dagli studenti; Zecchino consente poi che una piccolissima percentuale dei crediti formativi sia riservata ad attività formative autonomamente scelte dallo studente – cfr. stesso Decreto Ministeriale). L’autoformazione con i crediti è così perfettamente compatibile con le esigenze dei poteri accademici e economici, non li scalfisce, ma anzi li rafforza, svolgendo la funzione di moderare le lotte.
L’unica posizione possibile e necessaria è quella di lottare senza ambiguità per l’abrogazione del sistema dei crediti, portando avanti iniziative culturali, incontri, dibattiti davvero autogestiti e orientati in modo antagonista; non facendo tesoro di qualche “lezione” calata da professori o da ricercatori in cerca di visibilità, ma del confronto orizzontale fra i soggetti mobilitati e con soggetti esterni alle università, come lavoratori, migranti, realtà di movimento. Non si tratta insomma di rinchiudersi nelle aule privilegiate del “sapere”, ma di rendere l’Università un luogo di transito per le lotte aperte nelle metropoli e nei territori. Perché l’università non è degli studenti, è, o dovrebbe essere, di tutti, al servizio della collettività.

Bisogna quindi anche mettere in questione tutte quelle proposte volte a sgravare lo Stato dagli oneri del sistema formativo. Si pensi alla spinta pubblicitaria verso i prestiti d’onore, che mirano a far acquistare allo studente il proprio “pacchetto formativo”. Viene caldamente “proposto” allo studente di indebitarsi, per avere la speranza che con la laurea trovi un lavoro ben remunerato, che possa estinguere il debito contratto nei confronti del finanziatore (che può essere una banca, ma anche un’azienda alla quale ci si lega fideisticamente). Così è lo studente che investe su se stesso, con buone prospettive di finire doppiamente ricattato: dal padrone a lavoro e dal “finanziatore” del prestito d’onore. Un tale sistema (proprio come quello dei mutui “drogati”) è in crisi persino negli stessi paesi dove è più radicato, e ha come principali conseguenze l’esclusione sociale, la ricattabilità dello studente, il suo indottrinamento forzato, la spinta a una competizione feroce con i suoi compagni.

Anche i tentativi di abolizione del valore legale del titolo di studio, supportati non a caso da grandi multinazionali, vanno in questo senso. In generale l’obbiettivo del capitale è quello di costruire da un lato un’Università di massa adeguatamente dequalificata, dove si sfornano lavoratori a basso costo, esposti alla precarietà, costretti a cicli di formazione continua e a pagamento (master, corsi di specializzazione etc), che possano rappresentare un “esercito di disoccupati” disperati e in competizione fra loro, e dall’altro lato di creare invece pochi luoghi di formazione altamente selettivi in cui si forma la classe dirigente solidale alle sue esigenze. Da questo punto di vista l’“emergenza”, lo “spreco” e la “meritocrazia” sono i paraventi ideologici con cui si cerca di veicolare riforme che in effetti rafforzano proprio l’arbitrio baronale e la dequalificazione dell’Università pubblica.

Per questo motivo un altro punto cruciale sul quale si è concentrata l’attenzione del movimento è quello della trasformazione delle università in fondazioni di diritto privato. Una tale possibilità, che per molti atenei diventerà obbligo, comporterà da una parte che l’ingresso dei privati nei dipartimenti diventerà sempre più stabile, dall’altra che quei corsi di laurea che non rispondono a “criteri di produttività” verranno tagliati limitando inevitabilmente la libertà di studio nonché quella di insegnamento e ricerca. In generale, la trasformazione delle università in fondazioni, che è l’estremo effetto della privatizzazione (non si incide più con riforme curriculari o con una generica collaborazione con soggetti privati, ma tagliando nettamente i fondi, e costringendo dunque gli atenei a immettere al loro interno le uniche realtà capaci di erogare liquidità), non farà che aumentare le molteplici contraddizioni in cui l’università è inserita. Contraddizioni articolate su più livelli: fra logiche baronali e politico-clientelari; fra le diverse cordate d’interesse; fra il personale tecnico amministrativo e le dirigenze accademiche; fra le masse sempre più numerose di studenti esclusi dai livelli più alti della formazione e i meccanismi sempre più rigidi di selezione, repressione e controllo; fra le aspettative professionali degli studenti che completeranno il proprio percorso di studi e la loro crescente dequalificazione; fra i capitali stessi, in competizione per assicurarsi corsi di laurea favorevoli e “prestazioni d’opera vantaggiose”; fra Dipartimenti Atenei, Centri di ricerca, in opposizione, contro il buon senso e le pratiche di condivisione in uso fino a qualche decennio fa nella ricerca pubblica, per la registrazione di un brevetto o per accaparrarsi una fetta più grande di finanziamenti.

In questo quadro gli stage ed i tirocini sono un altro aspetto del riassetto dell’istruzione tutta, in funzione del mercato: acquisire conoscenze, attraverso la pratica sul posto di lavoro, è considerato formativo per gli studenti fin dalle scuole medie superiori. Ancora una volta, viene cancellata persino la parvenza di una cultura critica e slegata da logiche aziendalistiche: se da un lato parliamo di prestazioni di lavoro gratuite che permettono, in molti casi, di abbassare i costi per il personale di università e aziende non assumendo per gli incarichi coperti da stagisti, dall’altro il costo della formazione dei soggetti in ingresso (prima integralmente a carico dei privati) viene scaricato sulla collettività.
Stage e tirocini si delineano, quindi, come ulteriore ricatto per i lavoratori, in una fase in cui aumenta giorno dopo giorno il numero dei disoccupati, dei cassa-integrati e dei licenziati e in cui peggiorano visibilmente le condizioni di lavoro dello stesso personale nelle scuole e nelle università: si pensi all’esternalizzazione dei servizi, delle mense, delle biblioteche, che vengono affidate a imprese appaltatrici o subappaltatrici le quali non applicano ai lavoratori nemmeno le poche tutele tradizionali, e su cui il pubblico non ha più alcun controllo (con conseguente aumento del costo dei servizi e diminuzione della qualità).

Alla questione della mercificazione dei saperi è strettamente legato il modo in cui si configurano la didattica ed i suoi tempi nelle nostre aule: il voto, la lezione frontale, i ritmi serrati delle lezioni, sono strumenti che non permettono la fruizione di una cultura che possa realmente formare soggetti critici, ma contribuiscono a riprodurre l’ideologia dominante di cui l’università si fa portatrice. È per questo che non ci si può richiamare a cuor leggero al Trattato di Lisbona o alla Carta europea della Ricerca: questi sono piani per la costruzione di una ricerca funzionale allo sviluppo capitalistico ed a essa subordinata, non certo per lo sviluppo di un sapere libero.

Da questo punto di vista è importante ribadire come per “ricerca pubblica” non si intenda una ricerca genericamente finanziata dallo Stato e non dai privati, ma una ricerca che sia a beneficio della società. Una tale ricerca implica un cambiamento radicale della nostra società, della sua organizzazione politica e sociale. Oggi, anche laddove i fondi sono pubblici, la ricerca ha preso strade che devono assolutamente essere contestate. Sono infatti pesanti le responsabilità del mondo accademico nel prestarsi a fornitore di servizi per l’industria bellica, finendo per essere un utile strumento al servizio delle politiche imperialiste di guerra. E ancora, didattica e ricerca vengono oggi finalizzate allo sviluppo di prodotti farmaceutici, chimici, informatici, che saranno poi brevettati da quelle stesse aziende che ne ricaveranno profitti. Nel campo delle scienze umane questo vuol dire sviluppare sistemi di analisi e controllo, tecniche di promozione pubblicitaria, funzionali all’integrazione, alla spettacolarizzazione, al disciplinamento di vasti settori sociali potenzialmente conflittuali. Nel campo storico-letterario i condizionamenti dei fondi nazionali ed europei permettono una riscrittura della storia e della cultura a vantaggio delle esigenze attuali della classe dominante.

Per quanto riguarda il ruolo nella lotta dei dottorandi e dei ricercatori, soggetti chiamati in causa in prima persona in questo processo di ristrutturazione dell’Università e dello stato sociale, è per loro naturale, o dovrebbe esserlo, trovarsi alleati agli studenti. Come questi ultimi, essi subiscono una selezione di classe, che lascia a pochi la possibilità di andare avanti negli studi e di permettersi lunghe “attese”; per di più essi soffrono anche quei meccanismi di cooptazione e baronato che limitano la libertà della ricerca, ancor più minata dall’ingresso dei privati, con la possibilità (non remota e già presente in alcune facoltà scientifiche) che si ricerchi direttamente su commissione.
È per questo complesso di motivi che non si può parlare di “centralità del capitale cognitivo” o di funzione trainante dell’Università all’interno delle lotte. Non bisogna lasciarsi ingannare da formule demagogiche: da un lato bisogna riconoscere che il lavoro cosiddetto manuale non ha avuto né il tempo né l’agio di sviluppare teorie sulla sua centralità, anzi, è stato fatto sparire dall’informazione e dal dibattito culturale, con la complicità proprio delle elucubrazioni postfordiste; d’altro canto bisogna riconoscere che esso ha sempre di più assorbito funzioni intellettuali (cfr. il problem solving nei processi produttivi, a cui gli operai partecipano quotidianamente), mentre il lavoro “cognitivo” è spesso basato su precise funzioni materiali (cfr. le mansioni amministrative svolte da molti dottorandi e ricercatori). Nel rispetto delle specificità e delle condizioni concrete di vita, bisogna notare che le figure lavorative sono quindi inserite nello stesso ciclo produttivo: entrambe concorrono alla valorizzazione delle merci, entrambe sono esposte a processi di precarizzazione, entrambe vengono private di contratti collettivi nazionali e dei diritti sociali (quali quelli alla casa, alla pensione etc). Le risposte che il capitale ha dato alla sua crisi trentennale hanno tentato in ogni modo di frammentare la classe, opponendo artificialmente il lavoro “cognitivo” al lavoro “manuale”, offuscando i confini spesso molto labili che circoscrivono i due ambiti, e cooptando il primo con privilegi di casta e fornendogli un certo status. Per questo, anche se nel mondo della ricerca ci sono alcuni soggetti in attesa di “inserimento”, o che potranno sempre trovare un remunerato impiego nelle aziende, bisogna rilanciare una larga lotta unitaria fra i tanti che di questa proletarizzazione e scomposizione di classe patiscono le conseguenze.

Si è così giunti a una riflessione più larga sulla connessione che bisogna instaurare fra i diversi ambiti del conflitto sociale. La presenza di esponenti dei movimenti territoriali è stata fondamentale per trovare il legame con le lotte contro la devastazione ambientale e lo scempio territoriale. Non è un caso che nella stessa legge 133/08 sono contenuti, oltre ai tagli all’università, anche le misure di privatizzazione dell’acqua e i finanziamenti per l’energia nucleare. È lampante il nesso che lega lo smantellamento dell’istruzione e dello stato sociale all’attacco all’ambiente e ai territori, soprattutto se si considera, ancora una volta, il ruolo che la ricerca svolge (per volontà del pubblico o del privato) nella devastazione e nello sfruttamento ambientale, e la funzione assolta dai partiti e dai sindacati confederali (in continuità con i ben noti meccanismi clientelari, e spesso persino in collusione con mafie e camorre) nel portare avanti logiche di profitto.

Di fronte alla crisi e al massacro che sta producendo, lavorare sulle contraddizioni, iniziando a fare un discorso che miri dalle nostre università a costruire un lavoro politico che non sia studentista o corporativo, ma abbia la forza di collegarsi alle lotte di tutti gli altri settori che pagano questa organizzazione economico-sociale è dunque una necessità. L’obiettivo di tutti i partecipanti all’assemblea è dunque quello di lavorare nella prospettiva di un confronto stabile tra lavoratori e studenti (che sono lavoratori in formazione, lavoratori di oggi e di domani), assolutamente svincolato dalle pratiche concertative di alcuni sindacati e partiti. Per questo motivo, è stato ritenuto fondamentale proporre la costruzione di assemblee con altre realtà autorganizzate non studentesche per provare a generalizzare realmente le lotte e tendere col tempo ad allargare sempre di più i nodi del conflitto.

In conseguenza di ciò, partendo dalle nostre specificità locali, abbiamo deciso di creare una rete di realtà studentesche che abbia un respiro nazionale, ma che guardi anche alle proteste che si sviluppano, contro le medesime riforme e attacchi, su un piano internazionale. Intendiamo così coordinare in modo efficace le nostre lotte e dare uno sbocco politico alle analisi condivise, dotandoci degli strumenti più opportuni ed efficaci. Tra questi, abbiamo individuato un sito internet, che funzioni come portale di collegamento nonché come mezzo di comunicazione politica, punto di riferimento per quanti, quotidianamente, lottano nella nostra stessa prospettiva. L’autorganizzazione, in questo senso, è stata argomento centrale ed è emersa come caratteristica fondamentale per costruire una struttura orizzontale che riesca a porre nell’agenda politica una pratica realmente conflittuale e di classe. Per aprire da ora, e nei prossimi anni, un lungo ciclo di lotte sociali. Per osare combattere, e osare vincere.

Roma, 14 dicembre 2008

RETE DELLE REALTÀ STUDENTESCHE AUTORGANIZZATE
studenti.autorg@gmail.com

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Assemblea Nazionale 13-14 Dicembre: per aprire un nuovo ciclo di lotte sociali!


La Facoltà di Lettere e Filosofia Occupata dell’Università di Tor
Vergata (Roma), ha ospitato una due giorni di intenso dibattito: nodo
centrale di tutte le discussioni è stato sicuramente la crisi del
sistema capitalista che da ormai trent’anni stiamo vivendo.
È partendo da questo che siamo passati ad affrontare questioni che
vanno dalla ristrutturazione del sistema formativo
all’autorganizzazione; dall’esigenza di legare le lotte degli studenti
alle mobilitazioni per la difesa del territorio, alle lotte dei
lavoratori, delle migliaia di cassa-integrati e licenziati; dalla
repressione delle lotte e dei migranti ai legami tra ricerca e
industria bellica.

In questa ottica hanno partecipato e contribuito alla discussione
alcune strutture territoriali autorganizzate quali il Coordinamento
contro l’inceneritore di Albano e l’Assemblea Permanente No-Fly di
Ciampino.

Le assemblee hanno visto la partecipazione di varie realtà che in
questi ultimi mesi hanno avuto un ruolo attivo nelle mobilitazioni
prima contro le leggi 133 e 137, poi contro la legge 180 e il D.L. 1197.
Da Milano a Pisa, da Padova a Firenze, da Roma a Napoli a Cosenza,
studenti e lavoratori hanno messo a disposizione di tutti/e la propria
esperienza di lotta ed hanno posto l’attenzione sulla necessità di
mettere in campo, tutti quei percorsi politici che, a partire da
Gennaio, dovranno necessariamente condurre ad un nuova capacità di
creare conflitto e rilanciare le mobilitazioni da parte di tutte le
realtà autorganizzate .

Ulteriore obiettivo comune è stato quello di mettere in atto, come
primo passo, una rete nazionale degli studenti che riesca realmente ad
incidere nelle mobilitazioni attuali e future e che possa offrire un
punto di vista teorico e pratico di classe, cominciando un percorso
politico che andrà nei prossimi mesi nella direzione di una
generalizzazione sempre più ampia delle lotte.

Questo primo momento pubblico è stato un punto di partenza per
affrontare tutte le problematiche politiche che ci troviamo davanti ma
allo stesso tempo ci ha dato la possibilità di dotarci di quegli
strumenti necessari a continuare il lavoro in questa direzione.
È per questo che abbiamo già proposto un successivo incontro nazionale previsto per la primavera prossima.
In quell’occasione potremo confrontarci ulteriormente e fare il punto
sulla situazione del movimento e delle specifiche lotte cittadine che
porteremo avanti.

Rilanciamo l’autorganizzazione ed il coordinamento tra le lotte, per aprire un ciclo di lotte sociali!

14 Dicembre 2008

Assemblea Autorganizzata Tor Vergata (Roma), Collettivo
Autorganizzato Universitario (Napoli), Universitari Autorganizzati
(Padova), Collettivo Politico di Scienze Politiche (Firenze),
Collettivo 20 Luglio – Coordinamento saperi in lotta (Palermo),
Assemblea Studenti Scienze Politiche (Milano), Nucleo Studentesco
Metropolitano (Napoli), Assemblea delle Facoltà di Sociologia e Scienze
della Comunicazione (Roma), Collettivo Politico Militanz-UNICAL
(Cosenza), Coordinamento Studenti Rivoluzionari, Rete dottorandi e
ricercatori delle università di Napoli, Compagni e compagne
dell’autonomia romana, Assemblea Coordinata e Continuativa Contro la
Precarietà

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