Archivio per la categoria DIRITTO ALLO STUDIO

controguida alle elezioni: perchè non ci candidiamo

PERCHE’ NON CI CANDIDIAMO ?

Storicamente la possibilità per gli studenti di eleggere dei rappresentanti negli organi gestionali delle università era – ed è ancora oggi – vissuta come una grande conquista, come la possibilità di partecipare attivamente alla gestione amministrativa, didattica e di bilancio delle Università.
Noi, invece, siamo sempre stati contrari a questo meccanismo, ritenendo fondamentale il rigetto della delega. Odiamo la passività che consegna il potere decisionale nelle mani di un gruppo organizzato che ti chiede di essere politicamente attivo solo per firmare i moduli per la presentazione della lista e di mettere una croce ogni due anni.

Abbiamo partecipato alle elezioni, negli anni passati, sempre con la prospettiva di eleggere non dei rappresentanti degli studenti ma dei “raccoglitori di informazioni”, utili ad organizzare la lotta al di fuori degli ambiti istituzionali. Una lotta costantemente attiva (e non solo in campagna elettorale), fatta di riappropriazione dal basso degli spazi che quotidianamente viviamo, di discussione costante, di costruzione di dissenso, conflitto e sapere critico. Un lavoro che necessariamente vive del protagonismo diretto degli studenti.

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SULLA LECTIO MAGISTRALIS DI MARINO REGINI: TE LO SPIEGHIAMO NOI COSA VUOL DIRE ESSERE STUDENTI IN QUESTA CRISI.

image79Alla conferenza in aula magna del 9 aprile 2013, è stato fatto gran sfoggio di numeri e cifre, schemi e tabelle. La lezione cui abbiamo assistito, presenziata dal Rettore Tesi e guidata da Franca Alacevic, ex presidente di Scienze Politiche, Cecilia Corsi nuova presidente della Scuola di Scienze Politiche, il professor Gilberti di Bologna e il famoso Marino Regini, avrebbe dovuto chiarirci le idee riguardo i recenti cambiamenti strutturali del nostro ateneo e dell’università in generale, il tutto  in un’ ottica comparata con gli altri istituti europei. Entriamo più nel dettaglio.

 L’iniziativa si è subito aperta con un preambolo dei nostri accademici fiorentini: da un lato le scuse e le giustificazioni per aver tentato di fare del proprio meglio “nonostante la mancanza i fondi e gli sconvolgimenti attuati dalla riforma”, dall’altro un retorico trionfalismo in cui si tenta di dare dignità al nuovo nome della facoltà, “scuola”, in onore della fondazione della “Scuola Cesare Alfieri” più di cento anni or sono. Forse converrebbe che scegliessero attentamente a che emozione abbandonarsi e da che parte stare: ma si sa, la regione toscana è una virtuosa e per ora a tutto c’è rimedio, anche al taglio del fondo di finanziamento ordinario, e probabilmente il tempo delle domande e delle risposte può essere rimandato. Segue una breve rappresentazione grafica da cui emerge la consistente diminuzione del personale docente e di ricerca, presentata come un dato astratto senza base reale, mentre non è altro che la diretta conseguenza della riorganizzazione del sistema universitario, il che equivale appunto a riduzione dell’offerta formativa (corsi triennali di scienze politiche passati dal 2005 al 2013 da 8 a 2, quelli magistrali per lo stesso periodo da 9 a 5), tagli del personale e disservizio.

 Dopo questa breve presentazione ecco l’intervento del prof. Gilberti dell’università di Bologna, il cui momento culminante  probabilmente è il passo in cui definisce noi studenti un output da immettere al più presto nel mercato del lavoro. Peccato che si parli sempre di lavoro senza specificare che tipo di lavoro, quando ci troviamo in un quadro di crisi fatto di smantellamento dei diritti, tagli ai servizi, precariato e disoccupazione, come se non bastasse lo sfruttamento quotidiano che accompagna questo sistema. Senza contare che potersi sfamare non dovrebbe implicare  l’asservimento allo sfruttamento.

 Il piatto forte della mattinata costituisce naturalmente l’intervento dell’esimio Marino Regini, professore ordinario alla Statale di Milano, autore di alcuni libri sullo studio comparato delle tendenze europee del sistema d’istruzione. Apre subito con un’ analisi in tre fasi dello sviluppo del comparto formativo la cui esemplificazione forse a noi più nota è il famoso Processo di Bologna, che ha decretato la definitiva parcellizzazione e conseguente mercificazione del sapere, introducendo il 3+2+n (triennale, magistrale e master) quale standard competitivo per i giovani europei. La prima fase costituisce la cosiddetta università di massa degli anni ’60 che, secondo le sue testuali parole, “ha gravato sulle spalle dello stato”, inserendo di fatto quello che dovrebbe essere un diritto, ovvero l’istruzione, tra quella serie di servizi che seppur fondamentali, hanno la colpa di essere costosi, contribuendo di fatto alla crisi fiscale dello stato. Come dire che “tolti i i pensionati, gli immigrati, i lavoratori, gli studenti e i malati”  non avremmo più il debito pubblico: questo non fa altro che avallare la retorica dell’ “abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità”, il che vuole semplicemente dire che abbiamo osato pretendere i nostri diritti. I malati si sono ammalati troppo spesso, i vecchi sono morti dopo troppe retribuzioni pensionistiche, i lavoratori hanno preteso troppe tutele, gli studenti hanno osato studiare, gli immigrati hanno osato cambiare paese, i padroni hanno fatto i padroni: ma quest’ultima cosa non è un problema, a quanto pare. La seconda fase è quella da lui definita “l’economia della conoscenza” e probabilmente costituisce il periodo, indicativamente gli anni 80-90 fino a metà del 2000, in cui si sono definiti ancora di più i termini di una cultura dedita all’ utile, produttiva, dequalificata. La terza è la sopracitata crisi fiscale dello stato, come giustificazione per la Gelmini-Tremonti tanto quanto la recente riforma Profumo, parte integrante dell’agenda Monti, così come per tutto lo smantellamento di una serie di servizi pubblici della sanità, dell’istruzione, della previdenza sociale ecc ecc. inoltre, come se fosse possibile ridurre la questione del  debito ad un mero problema di disavanzo pubblico.

Il passo successivo affrontato da Marino è stata la schematizzazione dei valori “base” alla guida delle tendenze di riforma del sistema formativo: una maggiore autonomia istituzionale che non può che comportare maggiore influenza del mercato laddove il pubblico cede terreno (se si può ancora auspicare una differenza tra essi); la competizione, da sempre elogiata perché premia i meritevoli, mentre in realtà non è nient’altro che una gara dall’esito scontato, quando a essere in competizione non sono le capacità ma le “differenze” sociali ed economiche, attuando di fatto una selezione di classe; e la valutazione, strettamente connessa alla retorica del merito e dell’eccellenza.

Il passaggio successivo affrontato è stata una serie di comparazioni  dei sistemi universitari  europei tra quelli con il rettore eletto (da Cda o Senato accademico) o nominato da terzi, come nella maggior parte dei casi; tra quelli caratterizzati da un elevato grado di bipolarismo dei due organi di ateneo (l’Italia è annoverata tra questi) e altri con una minore bipartizione decisionale. L’Italia viene anche definita come l’esempio del “tradizionale” modello continentale di “autonomia senza responsabilità”, perifrasi che sta a indicare lo sviluppo di poteri paralleli a quello statale nel cui orizzonte concettuale Marino fa rientrare il cosiddetto baronato, l’oligarchia accademica. Forse si dimentica di puntualizzare che i rapporti di potere all’interno dell’università non fanno altro che riprodurre i rapporti di potere economico, politico e culturale della società, e che questa tirannia è facilitata dalla sempre più ingerente presenza dei privati e degli interessi aziendali nelle nostre università (ricordiamo l’ingresso trionfale a gennaio di due rappresentanti di Confindustria nel Cda fiorentino, in occasione dell’elezione dei tre membri esterni come da riforma Gelmini, dove 8 studenti che contestavano sono stati denunciati).

Marino prosegue poi il monologo lanciandosi in una teorizzazione del sistema universitario inteso come duplice: caratterizzato quindi dalla “vocational track” e dalla “academic track”. Questa differenziazione, resta un mero tecnicismo, perché alla fine entrambe le piste finiscono per sopperire alla necessità di profitto delle aziende, bisognose tanto di ricerca e di sviluppo tecnologico quanto di manodopera e capitale umano. Il nostro relatore milanese arriva infine ad auspicare come conseguenza di questo “sistema diversificato”  un ampio orizzonte dalle più svariate possibilità, dimenticando forse, che per chi non ha i soldi, non esiste alcuna possibilità. Non contento, arriva addirittura a parlare di due tipi di differenziazione: una auspicabile tra i vari dipartimenti all’interno della stessa università, conseguita investendo maggiormente in quello più virtuoso in nome di un’ agognata concorrenza internazionale; l’altra, meno nuova, tra atenei di serie A  e serie B. Quest’ultima, unita al calo di finanziamento per il sistema formativo pubblico a favore di quello privato, è stata ripresa pochi mesi fa dalla dibattuta legge sull’abolizione del valore legale del titolo di studio (riproposta anche dal programma elettorale del Movimento 5 stelle). Se approvata, finirebbe per emulare gli effetti di una manovra già tentata durante gli anni ’60. Allora, infatti la Commissione Ermini, in accordo con il ddl Gui, provò a delineare lo scenario in cui da una parte ci sarebbero state le università nel vero senso della parola, autorizzate a rilasciare diploma, laurea e dottorato; dall’altra  i cosiddetti “istituti aggregati”, che avrebbero potuto erogare soltanto diplomi di primo livello. Il decreto legge non venne approvato perché scatenò un forte dibattito incentrato sulla questione dell’uguaglianza, dell’accesso all’istruzione e dell’assenza di democraticità del processo di differenziazione degli atenei in prestigiosi, destinati a sfornare i quadri dirigenti, e in istituti “parcheggio”, atti a fornire la manovalanza, la manodopera dequalificata utile al sistema. Oggi, in un contesto di crisi in cui flessibilità, (un modo elegante per indicare la facilità di entrata e di uscita dall’occupazione, come da migliore logica co.co.pro, co.co.co), licenziamento e disoccupazione relegano i lavoratori ad un esercito industriale di riserva in attesa di una magra cassa integrazione (quando c’è), mentre i padroni continuano a lucrare sulle nostre vite, cosa comporterebbe? Una gara dove chi non studia alla Bocconi di Milano o alla Luiss di Roma, garantendosi una poltrona per il prossimo governo “tecnico”, vince precariato, lavoro nero, disoccupazione, contratti a chiamata e una pensione da 500 euro netti (quando va di lusso), dopo aver passato anni su libri di case editrici affiliate ad agenzie di rating (come la McGraw -Hill) e a fare ricerche su come garantire maggiore profitto alle aziende invece che su come curare malattie ad esempio. A sostegno implicito di tutto ciò, Marino si lascia sfuggire, durante un lungo sproloquio di classifiche internazionali da 400 e 500 posti, che, secondo gli ultimi dati, tra i 14 atenei che compaiono nei ranking più noti, solamente uno è del sud, nonostante gli atenei del meridione costituiscano ben il 31, 8% del totale degli atenei italiani. Questa esemplifica la presenza di evidenti differenze economiche e sociali che si riflettono anche secondo aree geografiche: se per quest’anno l’Ardsu toscana è riuscita più o meno a garantire quasi tutte le borse di studio, poco possono dire gli studenti idonei ma non beneficiari di molti atenei del sud, che pur avendo diritto alla borsa non ne hanno mai vista una.

 A ben poco valgono dunque le parole di Marino, che si prodiga in rassicurazioni su come la differenziazione non possa rappresentare che un beneficio per noi studenti, tutto questo mentre continua imperterrito a sciorinare dati su sbocchi occupazionali e classifiche delle varie università. Anche qui, quali classifiche, secondo quali criteri? Se il criterio costitutivo del sistema formativo deve essere la rispondenza al mercato del lavoro dipinto poche righe innanzi non possiamo fare altro che metterci le mani nei capelli: l’unica cosa che possiamo sperare è di studiare sterili nozioni (la cultura, quella vera, quella libera, sottratta al profitto e ai baroni universitari di turno è un’altra cosa), in attesa che valutino il nostro grado di mercificazione. La guerra ai fuoricorso, molto spesso studenti lavoratori, e la retorica del meritevole dall’altra spingono noi studenti in gara alla corsa al foglio di carta: una corsa che porterà la maggior parte di noi verso il baratro del precariato, della disoccupazione, dello sfruttamento, mentre pochi fortunati ci comanderanno a bacchetta sventolando master della London School of Economics dai costi esorbitanti. È dunque questo il merito di cui dovrebbero fregiarsi le nostre università? L’orgoglio di Marino quando rivela l’encomiabile posizione di graduatoria di alcune delle nostre università tra i primi 100 posti nelle classifiche internazionali è dunque quanto di più imbarazzante: gioite, se non siete destinati all’élite, vi rendiamo perfetta carne da macello!

 Qua si parla solo di classifiche e dati tecnici che tacciono sulle ingiustizie, si balbettano scuse e si evita di rispondere a domande troppo imbarazzanti, ci si riempie la bocca di criteri ambigui come merito, produttività e selezione.

E dei docenti, i ricercatori licenziati in questi anni di riforme? Delle condizioni dei  lavoratori delle portinerie e delle pulizie in subappalto? Dell’aumento delle tasse, della riduzione delle borse di studio, delle case dello studente abbandonate, della diminuzione di più di 50.000 immatricolati all’università in tutta Italia?

Di noi studenti lavoratori e a tempo pieno, delle nostre famiglie, costrette a stringere sempre di più la cinghia, le vostre classifiche e i vostri dati non parlano.

 Tutto questo differenziare, selezionare… ma l’accesso all’istruzione non è un diritto? Sì? E allora noi ce lo prenderemo.

 I DIRITTI NON SI MERITANO, SI CONQUISTANO.

 PER UN’ISTRUZIONE E UN LAVORO LIBERI DAL PROFITTO.

Collettivo Politico * Scienze Politiche

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Il teatrino elettorale e l’università, oltre l’università

6a00d8341ef41d53ef0153925195d2970b-800wiNell’ultimo anno e mezzo, tutti i provvedimenti presi dal governo dei tecnici, con l’appoggio incondizionato e trasversale di tutti gli schieramenti – dalla riforma delle pensioni, agli attacchi serrati al mondo del lavoro, passando per la spending review e i tagli indiscriminati a tutti i servizi – hanno mostrato in maniera evidente l’intenzione della parte di borghesia italiana più internazionalizzata di adeguare il sistema socio-economico del paese agli standard europei e di accreditarsi agli occhi dei grandi capitali internazionali. Non sono un caso, infatti, i continui riferimenti dei ministri-professori e dei politici ai sistemi mitteleuropei, in particolare all’agognato “modello tedesco”, e cioè a quelli perfettamente funzionali alle esigenze della borghesia europea più avanzata.

Terminata l’esperienza “eccezionale” del governo Monti, nel pieno di una campagna elettorale che ci restituisce un’immagine della realtà dei fatti sempre più distorta, l’unica preoccupazione dei vari schieramenti in corsa – gli stessi che fino a pochi mesi fa hanno dimostrato di saper fare così bene fronte comune nel garantire di fatto sostegno e piena agibilità e legittimità politica all’esecutivo uscente, agitando di volta in volta gli spettri dell’austerità e della crescita dietro vuoti e pomposi appelli al “comune senso di responsabilità nazionale”- è quella di recuperare consenso e voti. Al di là delle apparenti divergenze di programmi e delle differenti dichiarazioni d’intenti, ci appare chiaro che, qualunque sarà il risultato uscente dalla tornata elettorale, il futuro governo dovrà muoversi su una direzione politica il cui percorso è già solcato. E’ assolutamente indifferente che a risultare vincitrice sia la retorica anti-europeista e populista di un mai morto Berlusconi (ancora principale riferimento per gli interessi della piccola e media borghesia che in questi mesi ha opposto non poche resistenze alla “modernizzazione” del tessuto produttivo del paese avviata dai tecnici), che sia il porsi del Pd come forza interclassista pur rappresentando attualmente il principale blocco reazionario della scena politica italiana, oltre che un interlocutore sempre pronto a rassicurare i poteri forti dell’Unione Europea, o che sia la costruzione di un grande centro stabile di chi, come l’Udc, ha deciso di sostenere la “salita in politica” dell’ex premier Monti.
Nessuna di queste forze, infatti, ha messo in discussione quelli che sono i vincoli imposti dalle gerarchie europee che la crisi ha velocemente delineato, dal fiscal compact all’obbligo del pareggio di bilancio costituzionale. “Vincoli europei” che se da un lato vengono utilizzati come strumento per autoassolversi e lavarsi le mani di fronte agli elettori, dall’altro sono sintomatici di una delle contraddizioni interne alle nostre “democrazie” e della totale inutilità di queste elezioni.

Emblematico, per quello che sarà l’agire politico del prossimo governo, è il contenuto della cosiddetta Agenda Monti, vero e proprio manifesto programmatico dei mesi a venire.

Ma cosa prevede questa “Agenda Monti” nello specifico?

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Campagna “Ataf privata è un’inculata”

 

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ATAF    
PRIVATA E’ UN’ INCULATA!

Dopo un anno  dalla privatizzazione dell’ATAF, fortemente voluta dal sindaco Renzi e dal presidente dell’azienda Bonaccorsi, si palesa sempre più concretamente il fatto che questa decisione porta solo una conseguenza: l’asservimento della qualità del servizio al tornaconto del privato.

La (s)vendita di ATAF a Trenitalia, infatti, si inserisce a pieno nel processo che vede nelle classi popolari il soggetto su cui riversare i costi di questa crisi, mentre la classe dirigente continua a garantirsi margini di profitto sempre maggiori. Ciò è facilmente dimostrabile da conseguenze pratiche e materiali: a pagare il caro prezzo delle scelte derivanti dalla privatizzazione, ispirate da logica puramente imprenditoriale, sono i lavoratori, quegli utenti che proprio in questo momento di crisi economica non possono permettersi di sostituire il servizio (sempre più inefficiente) col costoso mezzo privato.

CONSEGUENZE DELLA PRIVATIZZAZIONE PER GLI UTENTI
– aumento del costo del titolo di viaggio.
– tagli alle spese di manutenzione.
– riduzione del 50% del servizio di pulizia.
– taglio alle linee periferiche in quanto meno remunerative.
– soppressione progressiva delle linee notturne e introduzione del bus a chiamata “Nottetempo” al costo di 4 €.
– soppressione delle agevolazioni sugli abbonamenti annuali per studenti borsisti mentre resta l’abbonamento annuale a 60 euro per i dipendenti unifi (presidi e baroni inclusi; lavoratori mensa, pulizie e portineria esclusi).

CONSEGUENZE DELLA PRIVATIZZAZIONE PER I LAVORATORI ATAF
– al momento dell’acquisizione dell’azienda Trenitalia ha subito annunciato 194 esuberi su un totale di 1181 lavoratori.
– messa in mobilità di 43 su 65 lavoratori delle ditte in appalto che si occupano del servizio mensa e pulizie.
– peggiori condizioni lavorative con turni ancora più massacranti per gli autisti.
– attuazione per 69 lavoratori dell’ “esodo volontario”, un ricatto proposto ai giovani precari dell’azienda col quale Trenitalia ha contrapposto l’offerta di un lavoro in alcune sue aziende fuori Firenze (a Padova, Rovigo, Milano o in Germania) al licenziamento.
– il mancato rinnovo di contratto a 8 ragazzi assunti a tempo determinato come apprendisti: si tratta di licenziamenti veri e propri senza diritto agli ammortizzatori nei confronti di dipendenti che hanno lavorato per 3 anni part-time e sottopagati.
– Trenitalia ha annunciato che, entro la fine dell’anno tutti gli autisti ATAF verranno trasferiti alle aziende socie (Cap e Busitalia-Sita Nord del gruppo Ferrovie dello Stato) in un progetto di smantellamento dell’azienda che porterà alla liquidazione dei dipendenti indiretti.

Oltre a ciò Trenitalia, il cui amministratore delegato è proprio quel Moretti indagato per la strage di Viareggio, non solo è il gruppo possessore di ATAF e delle linee ferroviarie, ma possiede anche Sita, Cap, Busitalia e Autoguidovie.
Ha quindi, con eccezione della Tramvia, il monopolio del servizio di trasporto fiorentino il quale viene gestito tramite un progetto ben preciso, atto a investire sui servizi di lusso e a disinvestire sui servizi meno retributivi ma più utili per l’utenza.
Come se non bastasse l’azienda affianca i tagli al terrore, per frenare la rabbia dei soggetti tagliati fuori dai prezzi sempre più escludenti del servizio, utilizzando la vigilanza dei controllori: essi non solo hanno la possibilità di chiedere il permesso di soggiorno, ma sono anche affiancati da poliziotti e unità cinofile.
Pensiamo, come studenti, che sia fondamentale mobilitarci in solidarietà coi lavoratori Ataf e delle ditte in appalto, ma pensiamo anche che sia fondamentale diventare tutti quanti protagonisti di una lotta per il diritto alla mobilità (parte integrante anche del diritto allo studio), che pretenda un trasporto pubblico, di qualità e gratuito per tutti.
Per questo ci rifiutiamo di pagare questi prezzi antipopolari e ci impegniamo, come studenti e futuri salariati, a ribadire che non saremo noi a pagare coi nostri sacrifici i costi di questa crisi che non ci appartiene.


SOLIDARIETA’ AI LAVORATORI IN LOTTA!
BIGLIETTO 1,50? NOI NON LO PAGHIAMO!

Adesioni:
Collettivo politico scienze politiche

Collettivo scientifico autorganizzato

Rete dei Collettivi fiorentini

Collettivo di Agraria

Collettivo Studentesco Rivoluzionario

 

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ONDA 2008: LA STORIA NON SI SCRIVE NEI TRIBUNALI!

Solidarietà agli studenti sotto processo per le mobilitazioni del 2008

Il 13 febbraio, il Tribunale di Milano emetterà la sentenza di primo grado verso alcuni studenti per la tentata occupazione della stazione FN di Cadorna avvenuta durante il periodo di mobilitazione noto come “movimento dell’Onda”. Altri processi si sono appena conclusi o sono tuttora in corso: si tratta di 200 denunce per 62 studenti, che vanno dall’interruzione di pubblico servizio, manifestazione non autorizzata, ed altre accuse collegate ai momenti di mobilitazione messi in atto contro la deriva aziendalista di tutto il sistema formativo.

milanoMai quest’onda mai mi affonderà, gli squali non mi avranno mai…”


Colpendo gli studenti che si sono battuti con più decisione, si tenta di rinchiudere dentro i tribunali un grande movimento, che tra ottobre 2008 e dicembre 2009, si è battuto sia contro la riforma Gelmini, sia contro le politiche neoliberiste di governo e Confindustria. Centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza nei cortei, nei blocchi stradali e delle stazioni, nelle occupazioni delle facoltà di molte città; e le nostre rivendicazioni non riguardavano soltanto l’ambito studentesco: collegarsi alle lotte dei lavoratori, contro i licenziamenti, o contro l’ulteriore precarizzazione della forza lavoro, erano parole d’ordine assunte da buona parte del movimento.

Chi governa sa benissimo che il mondo della formazione è sempre più funzionale ad un mondo del lavoro precario e senza garanzia alcuna. Questa condizione sta già generando tensioni sociali. Mentre sono sempre più coloro che vengono colpiti dai licenziamenti o dalla flessibilizzazione delle loro condizioni di lavoro, studenti che fanno propria la parola d’ordine “collegare le lotte”, costituiscono una voce fuori dal coro contro i piani di sfruttamento, che siano lo smantellamento del diritto allo studio, il modello Marchionne o la riforma Fornero. Pertanto, ogni disturbo va eliminato, perché la direzione nella quale ci stiamo muovendo è chiaramente definita.

La risposta migliore ad un attacco repressivo è continuare la lotta: per questo, pensiamo che si debba riportare la questione dalle aule dei tribunali agli studenti, ai giovani lavoratori che hanno dato vita a quelle mobilitazioni, e che ancora oggi si battono.

Non riteniamo di doverci assumere la responsabilità politica riguardante le motivazioni e le scelte che hanno portato migliaia di persone a e mobilitarsi. Tantomeno vogliamo assumerci la responsabilità penale in riferimento a quelle giornate

Sviluppare una memoria collettiva, da anteporre alla “memoria giudiziaria” significa prima di tutto porre le basi e affilare la critica per le future mobilitazioni, sia nella scuola che nel mondo del lavoro. Allo stesso tempo, è l’esempio migliore che si possa dare verso le giovani generazioni di studenti, che cercando di sviluppare la loro critica alla deriva aziendalista della scuola e dell’università stanno già preparando la prossima Onda.

“Aspettando un’onda lunga, passa la cera un’altra volta.
Poi col vento nelle mani, qui il futuro è già domani”

Ribellarsi era, è, e sarà giusto.
No all’istruzione merce,
NO alla scuola/università azienda

RED NET – Rete delle realtà studentesche autorganizzate

FOTO DA MILANO, ROMA, FIRENZE, NAPOLI, SIENA, URBINO, PISA

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MERITO=EQUITÀ? “PROFUMO” DI CLASSISMO… WE CHOOSE TO FIGHT!

MERITO=EQUITÀ? “PROFUMO” DI CLASSISMO…
WE CHOOSE TO FIGHT!

silenzio rabbia                         “Credo che sia un atto di grande democrazia, e’ previsto dalla Costituzioneche gli studenti debbano essere messi tutti nelle stesse condizioni,
ma devono essere capaci e meritevoli.
Purtroppo fino ad oggi nel nostro Paese questa equita’ non e’ esistita”.

Profumo, ministro dell’istruzione

E’ di pochi giorni fa la notizia della “vittoria” (ovvero un semplice rinvio al 21 Febbraio) rivendicata soprattutto da sindacati studenteschi in preda alla campagna elettorale, contro il cosiddetto Decreto Ministeriale Profumo che porterà sicuramente a ulteriori tagli e disservizi per i borsisti. Infatti il Ministro dell’Istruzione ha deciso, a pochi giorni dalle elezioni, di approvare un ulteriore decreto, che costituirà un vero e proprio cambiamento in senso peggiorativo riguardo i criteri di attribuzione delle borse di studio. E’ già da anni che in quasi tutte le Regioni si tagliano le borse di studio, ormai riservate ai pochi veramente “meritevoli”, e si spinge gli studenti a ricorrere ai “prestiti d’onore” con scarsi risultati: ciò comporterebbe l’indebitamento con istituti privati( banche, assicurazioni..) e di conseguenza l’obbligo a saldare il proprio debito appena usciti dagli studi, ovviamente se e solo se si riesce a trovare l’ennesimo lavoro precario. Inoltre il criterio di merito, introdotto già dalla prima riforma di Profumo, certamente non avvantaggia le classi più deboli della società: la logica del merito altro non è che la logica del più forte, in un orizzonte sociale nel quale le differenze di classe tra i pochi ricchi e i sempre più numerosi poveri, si fanno sempre più acute. L’uguaglianza tra gli studenti è meramente formale: i livelli di partenza in termini di bagagli di conoscenze e possibilità sono profondamente influenzati dalla situazione familiare. E’ ridicolo pensare che i tanti idonei non beneficiari, costretti magari a lavorare per mantenere gli studi, possano mantenere un livello di “produttività” pari ad uno studente a tempo pieno, solo per fare un esempio. L’equità di cui parla il Ministro è solo una mistificazione dietro cui nascondere un tentativo di perpetrare e ampliare le differenze sociali di partenza tra i vari studenti.
L’uscita dei dati del CUN sulla diminuzione degli immatricolati all’università (58.000 studenti in meno), non ha influenzato minimamente il nostro amato Ministro che pochi giorni fa è uscito con questo nuovo decreto.

Le misure previste sono infatti:

-l’impossibilità di richiedere la borsa oltre i 25 anni per la triennale, oltre i 32 per la magistrale

-per la prima richiesta, previsti criteri di merito secondo il curriculum scolastico (o meglio “portfolio”, introdotto nel precedente decreto merito)

-per richiedere le borse alla laurea magistrale gli studenti non dovranno essere più di 1 anno fuoricorso (si sa, i fuoricorso sono gli storici nemici del ministro)

-maggiori crediti annuali per i borsisti(15 crediti in più per il primo anno, 10 per gli altri)

-introduzione di tetti differenziati per la richiesta di borse di studio(14000 euro al sud, 17000 al centro, 20000 al nord)

Non ci vogliono esperti né tante parole per capire che questo decreto non sta aiutando gli studenti borsisti né andando verso una nuova università pubblica veramente accessibile a tutti! Questa manovra classista viaggia in una direzione ben precisa: un’università per poche élites “meritevoli”. Non ci stupiamo affatto delle continue riforme riguardanti l’università, tutto ciò infatti si inserisce in un unico percorso (dalla riforma Moratti alla Gelmini, dal processo di Bologna al decreto merito) che sta portando l’ università ad essere sempre più classista e a vedere sempre più accentuata la divisione al suo interno tra atenei di serie A e di serie B. Infatti questo provvedimento invita i sempre meno studenti che rispondono ai requisti di merito e produttività a iscriversi alle università del nord: il tentativo è chiaramente quello di svuotare di “meritevoli” le università del sud. La volontà è quella di far diventare un privilegio per pochi quello che dovrebbe essere invece un diritto per tutti nel tentativo di ridurre sempre di più il numero degli studenti e non saranno certo le mediatiche proteste in funzione elettorale né le continue lamentele e preghiere al Presidente o Ministro di turno a cambiare questo, come tutti gli altri, sacrifici necessari. Siamo convinti che non saranno le elezioni né tanto meno un governo di centrosinistra o di centrodestra a cambiare la politica lacrime e sangue portata avanti dal precedente governo POLITICO Monti.
Pretendiamo un diritto allo studio che possa realmente sostenere gli studenti attraverso un’università pubblica, gratuita e accessibile a tutti e un trasporto pubblico, gratuito e di qualità.La nostra risposta a tutto ciò sarà sempre la stessa: la lotta come strumento per cambiare questa riforma, l’università, la società e soprattutto questo sistema di cose presenti.

NO AL DECRETO PROFUMO SULLE BORSE DI STUDIO!
PER IL DIRITTO ALLO STUDIO E ALLA MOBILITA’!
I DIRITTI NON SI MERITANO, SI CONQUISTANO !

Collettivo Politico * Scienze Politiche
Das – Dimensione autonoma studentesca Siena
Collettivo Aula R Pisa

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NONOSTANTE LA REPRESSIONE DELLA POLIZIA, INTERROTTA LA LECTIO MAGISTRALIS DI VISCO AL POLO DI NOVOLI

163808188-957d5840-191f-43cb-a1a4-a44bbe1b6278Oggi, 18 gennaio 2013, un folto numero di studenti medi ed universitari si è riunito in presidio sotto l’edificio D6 del polo delle scienze sociali di Novoli, per contestare la presenza alla “lectio magistralis –  ruolo, responsabilità, azioni della banca centrale nella lunga crisi” del governatore della Banca D’Italia Ignazio Visco.

Da sempre contrari ad austerità, privatizzazioni e tagli, anche questa volta abbiamo voluto ribadire che non accettiamo che a parlarci di come si esce dalla crisi sia il governatore di Bankitalia, ovvero chi è parte attiva e integrante nella generazione di questa crisi e ne scarica i costi sulle classi subalterne.

Bankitalia ha ricoperto e ricopre sicuramente un ruolo non secondario: nata come banca centrale controllata dallo stato, viene poi aperto ai soggetti privati con il DPR del 12/12/2000 modificando lo statuto ed eliminando la norma che stabiliva che la maggioranza delle quote di partecipazione al suo capitale fosse in mano statale. Oggi il 94% di Bankitalia è in mano a banche commerciali private ( tra cui Intesa San Paolo con il 30% e Unicredit col 22%). Tra le sue funzioni infatti c’è quella di controllo delle politiche monetarie e di attuazione delle linee della Banca Centrale Europea, oltre a varie consulenze per il governo. Visco in una recente intervista ha auspicato la formazione di un governo che prosegua il percorso di austerità e di riduzione dei vincoli per banche e imprese. Ha  dimostrato così,  come la maggior parte dei candidati premier per le prossime politiche, di voler seguire alla lettera l’Agenda Monti, applicazione in Italia delle direttive Bce e della minacciosa lettera che Trichet inviò il 5 Agosto: questa indicava come via d’uscita dalla crisi una serie di cosidette “riforme strutturali” tra cui svendita e privatizzazione dei sevrizi pubblici, distruzione del CCNL, libertà di licenziamento, neutralizzazione dell’articolo 18, tagli all’istruzione, alla sanità, alla previdenza sociale, alle pensioni. Quindi non potevamo accettare che uno dei responsabili e promotori di una università privata e classista, sostenitore dell’austerity, venisse a fare propaganda al Polo di Novoli.
Esattamente come due giorni fa, mentre il Senato Accademico nominava tra i membri esterni del Cda due rappresentanti di Confindustria, anche oggi ci siamo trovati l’ingresso dell’Aula sbarrato da uno schieramento di Digos, pronto a difendere l’ennesima iniziativa di propaganda dei padroni. Di fronte alla nostra determinazione di impedire questo convegno la Digos ha reagito con violenza, con spintoni, calci e pugni, mentre il Rettore Tesi, lo stesso che due giorni fa ha fatto militarizzare il Senato Accademico che svendeva l’università fiorentina, ci proponeva  lo spazio per un intervento, inutile e ininfluente contentino. Allontanati brutalmente, ci siamo diretti verso le aule studio e la biblioteca per denunciare agli altri studenti l’ennesimo atto violento da parte della Digos , nello spazio di pochi giorni, contro chi non si rassegna di fronte alla distruzione del proprio futuro.

Non saranno nè violenza nè repressione a fermare la nostra lotta:

 

FUORI BANCHIERI, PADRONI E POLIZIA DALL’UNIVERSITA’!

CHE LA CRISI LA PAGHI CHI L’HA GENERATA!

PER UN’ISTRUZIONE LIBERA DALLE LOGICHE DEL PROFITTO!

 COLLETTIVO POLITICO SCIENZE POLITICHE
COLLETTIVO SCIENTIFICO AUTORGANIZZATO
RETE DEI COLLETTIVI FIORENTINI
ISKRA SESTO FIORENTINO
COLLETTIVO QUATTORDICI DICEMBRE PRATO
COLLETTIVO STUDENTESCO RIVOLUZIONARIO

I VIDEO:
https://www.youtube.com/watch?v=NEN8TQfMGak
https://www.youtube.com/watch?v=7Abaq82Hzgc

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Lavoratori Ataf in lotta tra articolo 18, appalti e privatizzazione.

PRESIDIO il 28 DICEMBRE alle ORE 12:00 davanti al DEPOSITO ATAF in VIALE Dei MILLE.

Sull’ATAF (Azienda Trasporti dell’Area Fiorentina) si stanno abbattendo in contemporanea i due tsunami della “riforma del lavoro” e della privatizzazione e svendita selvaggia del patrimonio pubblico. I lavoratori Ataf si stanno mobilitando ormai da tempo, sopratutto nell’ultimo anno, cercando di salvare il proprio posto di lavoro, ma anche il diritto ad un trasporto pubblico e di qualità. Ovviamente laddove c’è del profitto da garantire, non ci si poteva aspettare dalle istituzioni nessuna risposta diversa da quelle che abbiamo visto: da una parte il muro contro muro costante, senza nessuna intenzione di ascoltare i lavoratori in lotta, passando per un ricatto in piena regola, come da “stile Marchionne” (se accettate i peggioramenti contrattuali non privatizziamo), per finire con licenziamenti punitivi, come ci ricorda la vicenda di Sauro Certini, lavoratore autolinee toscane, licenziato ufficialmente per “motivi economici” Prosegui la lettura »

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I DIRITTI NON SI MERITANO SI CONQUISTANO! SOLIDARIETA’ CON I LAVORATORI DI CAREGGI! LUNEDI 17 ASSEMBLEA STUDENTESCA

10-12-2012 @ REGIONE TOSCANA (piazza duomo) ore 14:45 PRESIDIO AUTOCONVOCATO DALL’ASSEMBLEA DEGLI STUDENTI DI INFERMIERISTICA

12-12-2012 @PONTE NUOVO (ospedale di Careggi)  ore 11:00 PRESIDIO/CORTEO DEI LAVORATORI INFERMIERI E OSS DI CAREGGI

17-12-2012 @AULA AUTOGESTITA PLESSO DI VIALE MORGAGNI ore 15:00 ASSEMBLEA STUDENTESCA per decidere come continuare la mobilitazione degli studenti in merito a borse di studio e tirocini.

PARTECIPERANNO LAVORATORI OSS E INFERMIERI DI CAREGGI Prosegui la lettura »

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